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CALCIO 24/7: TIFO E CINEMA NEL PAESE DI PAPA BERGOGLIO


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Improvvisamente ma non troppo nelle prime del Lunedì di Pasqua è arrivata la notizia della morte di Papa Francesco. Solo poche ore prima era apparso, fragile, in piazza San Pietro per le celebrazioni della Pasqua, ma si sapeva che da mesi la sua salute era sempre più precaria.


Il cinema e la tv si sono già occupati di lui, ma c’è un legame cinesportivo con Papa Bergoglio? Di primo acchito direi di no. Nelle bio-pic a lui dedicate lo sport non ha alcun ruolo: il primo pontefice venuto dal Sudamerica non ha mai avuto un’aura di forza fisica, di efficienza sportiva, come uno dei suoi predecessori, Giovanni Paolo II.


Papi sportivi al cinema


A tale proposito si possono ricordare quelle fotografie dello „sportivo“ cardinale Wojtyla, che, ad esempio, scalava le montagne. Subito dopo la sua elezione nel secondo conclave del 1978 si favoleggiava di una piscina che sarebbe stata costruita per lui nei giardini del Vaticano. L’immagine che il pontefice venuto dalla Polonia era destinata a uscire dalla tradizione ieratica della lunga storia della Cattedra di San Pietro: era un’immagine al passo dei tempi e simile a quella che tanti capi di stato laici stavano dando e avrebbero dato negli anni successivi.


Di questa immagine quasi da „superman“ costruita intorno a Giovanni Paolo II si sarebbe appropriato poco meno di due anni dopo quell´allegro buontempone di Renzo Arbore nell´irripetibile e irrispettoso „Il Pap´occhio“, goliardico divertissement all´interno delle mura vaticane. Il nuovo Papa, che non è difficile identificare proprio con Wojtyla, è in perenne attività sportiva (cyclette, corsa e palleggio nei saloni del palazzi pontifici, pesi, addirittura boxe) mentre il suo segretario snocciola statistiche sul numero di fedeli in giro per il mondo.

 

Papa Bergoglio e lo sport


Come accennato, di tutt’altro stile Papa Bergoglio, in effetti diventato pontefice ad una età più avanzata. Non si può tuttavia dimenticare la sua provenienza argentina, che lo ha spesso messo in contatto con quello che a Buenos Aires e dintorni non è solo lo sport nazionale, ma una vera e propria religione laica: il calcio, conosciuto da quelle parti come „Futbol“.

 

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Tifoso di una squadra tra le più titolate d´Argentina, il San Lorenzo de Almagro, Papa Francesco non si è mai tirato indietro quando si è trattato di farsi rappresentare accanto a campioni più o meno celebri del calcio internazionale: Messi, Cristiano Ronaldo, Buffon e così via. Naturalmente ha voluto ricevere anche il secondo „Dio“ del popolo argentino: Diego Armando Maradona.

 

Così alla notizia del decesso del Pontefice ho pensato che si sarebbe potuta dare un’occhiata più a fondo del cinema sportivo argentino, in particolare quello di argomento calcistico.

 

Il cinema argentino e il calcio


Nel post di presentazione del blog mesi fa ho accennato a una celebre scena del film argentino “Il segreto dei suoi occhi”, in cui si evoca la passione per il calcio, passione che condurrà i due investigatori protagonisti a individuare e arrestare il colpevole in una drammatica ed efficacissima scena all´interno dello stadio del Racing Avellaneda proprio durante un incontro.

 

Avrei potuto scegliere i tanti documentari in omaggio a Diego Armando Maradona o, per rimanere nel campo delle opere di finzione, la mini-serie andata in onda su Amazon tre anni fa e che ricostruisce gli anni giovanili del “Pibe de Oro” fino grosso modo alla sfortunata esperienza ai mondiali statunitensi del 1994.

 

Una piccola perla da Buenos Aires: "El fútbol o yo"


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Avrei potuto… ma non l´ho fatto, sarebbe stato scontato. Così mi sono immerso in una rapida ricerca, da ex-topo d´archivio, resa ormai più agevole e veloce da internet e dall´AI (lo ammetto…). Alla fine sono venuto a conoscenza di una simpatica commedia del 2017, “El fútbol o yo” (Il calcio o io) di Marcos Carnevale, che affronta certo la grande popolarità che il calcio ha in Argentina, ma soprattutto quella che si potrebbe definire una vera e propria dipendenza, paragonabile a quella da alcol o droga, o alla ludopatia.

 

Del tema del tifo sportivo mi sono occupato nel secondo post del blog, quando ho raccontato di “Febbre a 90”, il film tratto dall´omonimo romanzo di Nick Hornby, con Colin Firth nei panni del protagonista. In “El fútbol o yo” la passione che condiziona tutta la vita di Pedro Pintos (Adrián Suar) ha raggiunto tuttavia una nuova dimensione, figlia del calcio del XXI secolo. Quando Hornby scrive il proprio romanzo autobiografico sulla sua tormentata vita da tifoso dell´Arsenal, poi riadattata nel film, la fruizione del calcio era moderata, se si confronta ad oggi.


Le partite si svolgevano nel fine-settimana, ogni tanto con appuntamenti infrasettimanali per le partite internazionali. La Champions League si chiamava Coppa dei Campioni, in Inghilterra si giocava il sabato pomeriggio, con qualche eccezionale match fissato la domenica. Insomma le partite allo stadio e in TV erano poche. C´era di tempo per respirare tra un match e l´altro, per fantasticare, per tormentare parenti e amici, ma con misura…

 

Il calcio al tempo delle pay tv



Invece Pedro e i suoi due amici Juan (Federico D´Elia) e Luis (Peto Menahem), che condividono questa sua ossessione patologica, si trovano in una full immersion 24/7 di calcio. Alla TV, sul computer in ufficio, sullo smartphone, su maxi schermi in giro per la città. In casa, al bar, nei pranzi di famiglia con i suoceri… Non c è possibilità materiale di sfuggire all´overdose di calcio, uno dei tanti „Grandi Fratelli“ della nostra epoca. Naturalmente Pedro non si fa mancare nemmeno partite dal vivo: addirittura corre da uno stadio all'altro per seguire da vicino non una, ma due squadre, lo storico Boca Juniors e il non meno famoso Argentinos Juniors (non a caso due squadre dove ha militato Maradona). Pedro è così appassionato di calcio che, si alza presto la mattina per guardare le partite delle leghe asiatiche e non perde mai una partita della Primera B.


Non manca neppure la settimanale partita di calcetto con gli amici, in cui il protagonista tenta di riprodurre sul campo gli atteggiamenti dei suoi idoli, anche se non ha più la forma fisica dei tempi migliori. Questa ossessione suggerisce che probabilmente dedica poco tempo e attenzione a sua moglie Verónica (Julieta Díaz) e alle due figlie. E infatti i rapporti tra Pedro e e Verónica diventano sempre più difficili.


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Per la disperazione della donna, il marito calcio-dipendente colleziona anche magliette di squadre di tutto il mondo: in una scena lo vediamo con una vecchia maglietta Ennerre della Roma, con tanto di logo anni 80 e scritta dello sponsor Barilla sul petto. Quando Verónica fa notare al marito che nell´armadio ha poche camicie e tantissime di queste magliette, è evidente: lei ha già superato il punto di sopportazione. Inoltre ha anche fatto una personale diagnosi: Pedro è malato, ha una vera e propria dipendenza da calcio. Questo porta a sempre più violenti litigi, finché i due decidono di separarsi. Verónica rimane nel loro appartamento insieme alle figlie, mentre Pedro trova rifugio nella casa da single di Juan, uno dei suoi “complici” fanatici di calcio.

 

Si convince a tentare di disintossicarsi: perciò entra a far parte di un gruppo di terapia contro le dipendenze, ma, al momento di presentarsi davanti agli altri partecipanti, si vergogna talmente di essere calcio-dipendente che mente, dicendo di essere… alcolista. Come sostegno all’interno del gruppo gli si propone l´invadente Rocha (Alfredo Casero), che diventa una specie di angelo-custode.

 

Nel frattempo Pedro, che aveva perso il precedente impiego proprio a causa della sua dipendenza da calcio (era stato beccato a guardare una partita durante l´orario di lavoro), diventa istruttore in una scuola-guida. Vive con frustrazione la separazione dalla famiglia, sa di amare ancora la moglie ed è terribilmente geloso di un vicino di casa, Martin (Rafael Spregelburd), da lui definitio spregiativamente „l´intellettuale“, che sembra faccia la corte a Verónica.

 

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In occasione del compleanno di lei sembra possibile una riconciliazione, ma qualche contrattempo si frappone di nuovo fra i due. Al ritorno da un viaggio in aereo durante l’atterraggio davanti ai suoi occhi gli si presenta lo Stadio Monumental pieno e illuminato a giorno per una partita. Pedro è combattuto, sente di essere sulla via della guarigione, ma anche che i fantasmi della dipendenza sono ancora presenti. Uscito dall’aeroporto corre verso lo stadio, ma arrivato all’ingresso, decide di fermarsi. Proprio sulle scale d’accesso lo vede Verónica, che capisce quanto il marito sia sinceramente uscito dalla calcio-mania. E naturalmente arriva il lieto fine.

 

Uno sguardo leggero e disincantato sul tifo 24/7


Commedia di costume, con molta satira sociale, ma senza molte pretese, „El futból o yo“ rappresenta per chi non conosce la realtà sudamericana, e argentina in particolare, un interessante spaccato sulla vita della media borghesia urbana, alle prese con le stesse mode, le stesse frenesie e le stesse… dipendenze della nostra vecchia Europa. Il Pedro che divide il suo tempo tra stadio, TV, partite sullo smartphone e appassionate discussioni calcistiche con gli amici rappresenta la logica evoluzione di Paul, il protagonista del film tratto dal romanzo di Nick Hornby. O di tanti altri tifosi „old school“ ritratti in film come „Ecceziunale veramente“ (1980), in cui Diego Abatantuono si divide nel ruolo di tre tifosi delle più amate-odiate squadre del calcio italiano (Juventus, Inter e Milan) per deriderne la calcio-dipendenza, che, però, confrontata a quella del nostro Pedro da Buenos Aires, era veramente cosa da poco. Di altri tempi, appunto.

 

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Purtroppo „El futbol o yo“ è uscito solo in alcuni paesi sudamericani e in Spagna, non riscuotendo molto successo, se non forse solo in patria. Le poche recensioni che ho avuto possibilità di consultare lo considerano sì divertente, ma niente di più, accusando gli autori di poca originalità e di troppa leggerezza. Come scrisse a suo tempo Carlos O. Scholz su „El Clarin“ "El fútbol o yo" brilla nei momenti comici, mentre le parti melodrammatiche, in particolare l'ultimo terzo del film con diversi possibili punti di svolta drammatici, risultano più rischiose e meno riuscite.


Non solo, ma sugli sceneggiatori, cioé il regista Carneval e lo stesso Suar, è pesata a lungo un’accusa di plagio da parte di uno scrittore argentino, Daniel Frescò, autore di un romanzo uscito nel 2015, „Enfermo de futból“, cioè letteralmente malato di calcio. Il tribunale ha scagionato i due sceneggiatori, riconoscendo che, anzi, avevano acquisito già prima del 2015 i diritti di un film belga „Je suis supporter du Standard“ (Sono tifoso dello Standard Liegi), che trattava una vicenda simile a quella di „El futbòl o yo“.


Provate a recuperare il film su Youtube (qui il link) e, anche se lo troverete solo in originale, guardarlo sarà un´esperienza molto divertente, e per molti football-freaks delle nostre parti, avrà forse risvolti autobiografici. In fondo le differenze tra italiano e spagnolo (anche se nella variante rioplatense) non sono molte e, forse, qualche parentela tra noi e gli argentini ci può aiutare a capirli meglio.

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