top of page

„CHI HA FATTO PALO?“: CINQUANT´ANNI DI TRAGICHE DISAVVENTURE SPORTIVE DEL RAG. UGO FANTOZZI (2)

Aggiornamento: 1 giorno fa



Sull’onda del travolgente successo del film d’esordio dedicato al ragionier Ugo Fantozzi, il duo Paolo Villaggio-Luciano Salce colse al volo l’opportunità di dare un seguito alle disavventure dell’impiegato più sfortunato d’Italia. Attingendo ancora una volta ai racconti pubblicati nei libri di Villaggio, nacque una sceneggiatura che, con la stessa tagliente ironia e malinconica cattiveria, dipinge le imprese tragicomiche del protagonista. Il Secondo Tragico Fantozzi (1976) si rivelò un trionfo pari al primo film, consacrando il personaggio di Fantozzi come specchio deformante, ma spietatamente veritiero, dell’italiano medio. Le scene e le battute, entrate subito nel patrimonio culturale popolare, continuano a risuonare nell’immaginario collettivo.

Tra i temi ricorrenti, lo sport occupa un posto di rilievo, sebbene con un ruolo forse meno centrale rispetto al primo capitolo. Le sequenze che hanno più o meno attinenza con lo sport, tuttavia, non perdono mordente: divertenti, grottesche e iconiche, trasformano il rapporto di Fantozzi con l’attività fisica – sia attiva che passiva, come tifoso da poltrona – in una confessione universale delle debolezze umane. Le sue disavventure riflettono l’inadeguatezza, le velleità e le pressioni sociali di un’epoca, offrendo uno specchio in cui, ancora oggi, molti si riconoscono.


Il grottesco safari nell´agro romano


Il primo episodio sportivo del film ci porta nella campagna romana, teatro di una grottesca battuta di caccia organizzata dall’azienda di Fantozzi. Costretto dall’immancabile geometra Filini a un’alzataccia domenicale, il ragionier Fantozzi si ritrova coinvolto in un’attività che, pur dibattuta come sport, era stata riconosciuta dal CONI grazie alla sua affiliazione con la Federcaccia e alle discipline venatorie derivate, come il tiro al piattello o il tiro con l’arco. Poi nel 2000 il riconoscimento era stato revocato, salvo rientrare dalla finestra con un´altra forma di affiliazione al comitato olimpico nazionale.


Nel mondo di Fantozzi, tuttavia, la caccia si trasforma in una parodia esilarante delle mode collettive e delle dinamiche aziendali. Come nella partita di tennis del primo film, l’episodio si apre con un’entrata in scena che sottolinea l’impreparazione del protagonista. Fantozzi e Filini arrivano all’alba sul luogo dell´avventura venatoria, equipaggiati in modo tanto improbabile quanto comico. Il guardaroba di Fantozzi è un capolavoro di inadeguatezza: un cappellino bianco da marinaio (ereditato dalla figlia Mariangela), una giacca “scrupolosamente normale” stretta in vita da un cinturone di cartucce da mitragliatrice della Seconda Guerra Mondiale, e, come arma, una fionda elastica. A completare il quadro, un siero antivipera – testimonianza della sua ansia più che della sua competenza – e due esche improbabili: un canarino e un gatto randagio in gabbia, che fugge non appena liberato. Questa descrizione, con il suo contrasto tra dettagli banali e accessori surreali, incarna l’umorismo di Villaggio, capace di trasformare l’ordinario in grottesco.



La sequenza si sviluppa in un crescendo di disastri. Gli impiegati, ammassati in un’area di 14 metri quadrati (iperbole che amplifica il caos), si scambiano per selvaggina e iniziano a spararsi addosso. Filini, con la sua mania organizzativa, divide i cacciatori in “scapoli” e “ammogliati”, una categorizzazione che richiama le dinamiche sociali dell’epoca, dove le riunioni aziendali erano anche momenti di rituale collettivo (ricordate la partita di calcio del primo film?). La mancanza di prede vere trasforma la battuta di caccia in una battaglia campale, con i partecipanti che si affrontano usando attrezzature diverse in base al loro “censo”.



Si tratta di una scena che non è solo un’esplosione di comicità, ma anche una satira feroce dell’hobby di massa e del “divertimento obbligatorio” imposto dal contesto lavorativo. La caccia, come altre attività aziendali, diventa un’occasione per mantenere rapporti interpersonali, ma a scapito della dignità e del benessere dei partecipanti. Fantozzi, vittima predestinata, incarna l’impiegato costretto a conformarsi a rituali che lo umiliano.


Frittatona di cipolla e Peroni gelata: la ribellione del tifoso da poltrona



L’episodio più celebre del film è forse quello che celebra Fantozzi come tifoso da divano, emblema dell’italiano medio appassionato di calcio. La scena, diventata leggendaria, si apre con il nostro eroe pronto a godersi l’attesissima partita Italia-Inghilterra in Eurovisione (ah, quanta nostalgia!) da Wembley: le rapide immagini in bianco e nero che scorrono sullo schermo del televisore di casa Fantozzi  si riferiscono ad una partita reale, giocata nel novembre 1976 allo Stadio Olimpico di Roma nell´ambito delle qualificazioni per i mondiali argentini e vinta dagli azzurri per 2-0. L’equipaggiamento è quello di un rituale sacro: poltrona, vestagliona di flanella, frittatona di cipolle, familiare di Peroni gelata, tifo indiavolato e, immancabile, “rutto libero”. Ogni dettaglio contribuisce a creare un’immagine vivida e universale, che trascende il personaggio per descrivere un’intera generazione e una cultura del tifo, vissuto quasi come una religione.



Ma il destino, nella persona del geometra Filini, è in agguato. Una telefonata improvvisa strappa Fantozzi dalla sua poltrona: il professor Guidobaldo Maria Riccardelli (Mauro Vestri), uno dei tanti superiori dell’azienda, ha organizzato un cineforum con la proiezione di un film cecoslovacco, che, magra consolazione, è sottotitolato in tedesco. La partita, simbolo di passione popolare, viene sacrificata sull’altare della cultura d’élite, che Riccardelli considera  come antitesi della “volgarità” del calcio, passatempo da incolti e proletari. Fantozzi, con la famiglia al seguito, è costretto ad abbandonare il suo nido domestico per raggiungere la sala di proiezione.


Il percorso verso il luogo del supplizio è altrettanto simbolico. Senza autoradio, il nostro eroe si affida a una radiolina portatile per seguire la cronaca della partita, narrata da Nando Martellini, la voce iconica del calcio italiano, che fa la parodia di se stesso appositamente per questa scena del film. Basti ricordare l´estasiato commento di Martellini secondo cui "sono 170 anni che non vedevo una partenza così folgorante degli azzurri". La cronaca, volutamente esagerata, amplifica il tono comico della sequenza. E poi i nomi dei calciatori italiani di allora, che, come tutti i ragazzini della mia generazione, conoscevo soprattutto attraverso le figurine Panini: Pulici, Savoldi, Bellugi, Capello (sì, quel Capello, il futuro allenatore supervincente), Rocca (sfortunato terzino della Roma, la cui promettente carriera fu frenata da gravi infortuni), Tardelli e Antognoni (all´epoca giovani speranze).


Attraversando le strade deserte di una grande città, che è facile identificare con Roma, la famiglia Fantozzi si rende conto dell´estrema ingiustizia che sta subendo: tutti, ma proprio tutti, possono tifare davanti alla tv, mentre loro sono costretti a un´indesiderata serata al cinema. Indimenticabile il momento in cui Fantozzi, arrampicandosi a una finestra per chiedere “chi ha fatto palo”, riceve un pugno in faccia dopo aver rotto il vetro.



All’ingresso della sala, poi l´imbarazzante perquisizione degli impiegati – vietati radio e televisori portatili – sottolinea l’autoritarismo culturale di Riccardelli, per il quale, come accennato, il calcio rappresenta un passatempo plebeo. Un vero „oppio dei popoli“.


La proiezione, come ogni fan del film sa, non sarà quella del film cecoslovacco, ma della famigerata Corazzata Kotiomkin (versione parodistica della Corazzata Potëmkin di Sergej Ejzenštejn, titolo modificato per motivi di copyright). La voce fuoricampo di Villaggio racconta del malumore e del´insofferenza degli impiegati, costretti all´ennesima umiliazione. Girano voci incontrollate, addirittura che anche Zoff aveva "segnato di testa su calcio d´angolo“. Ah, Dino Zoff, il mitico inossidabile portiere-simbolo di quelle generazioni di tifosi della Nazionale, che sei anni dopo avrebbe definitivamente fissato il proprio mito sollevando la Coppa del Mondo nell´indimenticabile notte di Madrid, l´11 luglio 1982.


La ribellione finale degli impiegati contro questa imposizione culturale è un inno alla libertà individuale, ma anche una critica alla pretesa superiorità dell’arte d’autore rispetto alle passioni popolari. Per una volta questa scintilla parte proprio dal nostro Fantozzi rag. Ugo: sempre umiliato al termine di ogni dibattito del cineforum, decide di prendersi una rivincita, da cui scaturiranno gli altrettanto indimenticabili „92 minuti di applausi“ (in pratica quanto la durata di una partita di calcio, un paio di minuti di recupero compresi) dei suoi colleghi, che mai avevano avuto il coraggio di manifestare la propria insofferenza per quelle serate obbligatorie al cinema.



Sarà una ribellione effimera, però. Come spesso accade nel mondo fantozziano. La polizia, come in un poliziottesco, si „incazza“ per davvero, riprende in mano la situazione, libera Riccardelli, il quale escogita una vendetta forse non spietata, ma sicuramente umiliante: la ricostruzione della famigerata (e celebre) scena della scalinata del porto di Odessa. Nella quale Fantozzi, ovviamente, sarà di nuovo la vittima principale: del suo superiore, ma anche dei colleghi, come il solito Calboni, che hanno ammainato le bandiere della ribellione per riprendere i panni del servilismo più becero.

In attesa del prossimo film d´autore. E della prossima partita della Nazionale. Magari ancora una volta proprio contro l´Inghilterra. Chissà perché, ogni volta che si avvicinano i duelli tra gli Azzurri e i "Three Lions", a me, e non solo a me, viene in mente questa storica sequenza. Con in sottofondo il Mussorgsky dei "Quadri ad un esposizione", eseguito per pianoforte.


Fallimenti sportivi nelle acque (gelide) di Capri


L’ultimo riferimento sportivo del film si colloca nella romantica – e tragicamente comica – fuga di Fantozzi a Capri con la signorina Silvani, ora signora Calboni. Per punire il marito della scappatella da ex-scapolone, la Silvani sceglie proprio il devoto Fantozzi come accompagnatore. Meta: la romantica (e costosissima) Capri.



Ma l´atmosfera è tutt´altro che romantica. I due raggiungono l´isola in bassisima stagione, a ridosso del periodo natalizio. In pieno inverno, qundi, il nostro eroe tenta disperatamente di impressionare la donna dei suoi sogni anche con improbabili prodezze atletiche. Ogni tentativo, però, come sempre si risolve in un fallimento. Si tuffa in piscina per sfoggiare le sue doti di nuotatore, ma la trova vuota: non ci sono altri ospiti nel loro lussuoso hotel e, come accennato, siamo in piena stagione invernale.

Prova lo sci d’acqua, senza alcuna esperienza e, soprattutto, senza le doti atletiche e acrobatiche che questa disciplina richiederebbe. Per amore, però, Fantozi è disposto a tutto: a rendersi ridicolo e ad affrontare il pericolo. Ed infatti gli esiti sono per l´ennesima volta disastrosi: finisce per schiantarsi contro i faraglioni.



Questi episodi, brevi ma incisivi, ribadiscono l’incapacità di Fantozzi di eccellere in qualsiasi disciplina sportiva, trasformando i suoi sforzi in una metafora della sua inadeguatezza esistenziale e della disperata ricerca di seguire le mode, soprattutto quelle dei ceti alti (lo sci acquatico era, ed è tutt´ora, uno sport molto esclusivo).


La scelta di ambientare queste scene a Capri, in un contesto di lusso e bellezza inaccessibile per un impiegato come Fantozzi, amplifica il contrasto tra le sue aspirazioni e la realtà. Lo sport, ancora una volta, diventa il terreno su cui si consumano le sue sconfitte, ma anche il mezzo attraverso cui Villaggio ci invita a ridere delle nostre fragilità.


Un antieroe sportivo senza tempo


Come il film precedente, ancora una volta Il Secondo Tragico Fantozzi non è solo una commedia, ma una satira sociale che usa lo sport per raccontare le contraddizioni dell’italiano medio: le sue passioni, le sue frustrazioni, il suo bisogno di conformarsi e, al tempo stesso, di ribellarsi. Le scene sportive, o che con lo sport hanno in qualche modo a che fare, con il loro mix di comicità e amarezza, ci mostrano un Fantozzi che, pur destinato al fallimento, conserva una dignità nascosta nella sua ostinata umanità.



Le battute di caccia, le serate da tifoso e i disastri a Capri sono entrati nella nostra cultura non solo per la loro comicità amara e grottesca, ma anche perché ci parlano di noi: delle nostre piccole manie, delle pressioni sociali e del desiderio di trovare, anche solo per un istante, un momento di autentica libertà.


Non è finita. Altri disastri fantozziani ci aspettano.



Comments

Rated 0 out of 5 stars.
No ratings yet

Add a rating
bottom of page