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DRAŽEN: LA LEGGENDA DEL MOZART DEL BASKET

Drazen poster del film


La festa del basket europeo


Domenica 14 settembre 2025 con la finale tra Germania e Turchia si conclude il 42° Campionato Europeo di pallacanestro, una delle edizioni più particolari e imprevedibili della storia recente. La competizione, durata oltre due settimane, ha toccato diversi angoli del continente, dalla Scandinavia al Mediterraneo orientale, con partite ospitate in Lettonia, Cipro, Finlandia e Polonia.


Il torneo ha regalato colpi di scena clamorosi: i campioni in carica della Spagna, eliminati già al primo turno, i vice-campioni olimpici della Francia estromessi dalla sorprendente Georgia, e l’Italia uscita agli ottavi per mano della Slovenia di Luka Dončić. Le quattro squadre approdate all´ultimo atto, tra cui la Germania campione del mondo, si giocano il titolo nell’arena di Riga, capitale lettone.


Giovane Petrovic al muro

Ai nastri di partenza della manifestazione spiccava l’assenza di una delle nazioni storicamente più rilevanti nella pallacanestro europea: la Croazia. Non qualificarsi è stato vissuto come uno smacco a Zagabria e dintorni, un colpo duro da digerire, soprattutto perché giungeva a ridosso di una ricorrenza importante: il sessantesimo anniversario della nascita di Dražen Petrović, il simbolo assoluto della pallacanestro croata e uno dei più grandi cestisti di sempre.


L’ombra indimenticabile di Dražen


L’assenza della Croazia ha fatto emergere un vuoto che non è solo tecnico, ma soprattutto emotivo e simbolico. Per chi ama la pallacanestro, la Croazia resta indissolubilmente legata al nome di Petrović, il giocatore che più di ogni altro ha contribuito a portare il basket europeo sul palcoscenico mondiale.


Soprannominato il Mozart del basket, l´atleta di Sebenico incarnava genialità, ossessione, disciplina e fragilità. Molto è stato scritto e detto sulla carriera di questo straordinario interprete del basket. La sua parabola folgorante si interruppe tragicamente il 7 giugno 1993 sull´asfalto bagnato dell´autostrada nei pressi di Deckendorf, alle porte Monaco di Baviera. Da quel giorno la sua immagine, il suo nome, le sue imprese sportive sono entrate nell´immaignario collettivo per diventare subito mito, come accade con le morti precoci delle star.



In coincidenza con le celebrazioni dei sessant´anni dalla nascita di Petrovic una coproduzione cinematografica croato-serbo-bosniaca (buon segnale di collaborazione tra i tre Paesi, dopo le dolorose esperienze delle guerre nella ex-Jugoslavia) ha riportato alla ribalta il mito di Petrović. Il biopic “Dražen” (2024), diretto da Danilo Šerbedžija e interpretato da Domagoj Nižić nel ruolo del protagonista da adulto, è stato presentato in anteprima a Sibenik (in italiano Sebenico), città dove Petrović era nato nel 1994, per poi registrare un successo popolare impressionante nei cinema croati (oltre 50.000 spettatori), dimostrando che la figura di questo campione resta centrale. .


Il biopic "Dražen" rappresenta un omaggio necessario e doveroso a uno dei più grandi cestisti della storia. Nonostante le recensioni contrastanti, come accennato il film ha attirato un grande pubblico in Croazia, dimostrando quanto la figura di Petrović sia ancora viva nell'immaginario collettivo. Sempre in Croazia il film è ora disponibile su Netflix. Per quanto mi riguarda sono riuscito a vedere il film su You Tube in versione originale in croato (con sottotitoli in tedesco... molto fantozziano!). Mi ha appassionato subito, nonostante questa lieve barriera linguistica, per la sincerità e semplicità con cui la vicenda umana e sportiva di Petrović viene raccontata, aiutando anche lo spettatore meno vicino al mondo del basket a entrare in contatto e anche in sintonia con il campione di Sebenico.


Se andate a vedere “Dražen”, quindi non cercate un biopic spettacolare dai toni epici, agiografici, ma un ritratto intimo. È necessario fare attenzione ai dettagli: la relazione con la famiglia, la cura tecnica  del tiro, gli sprazzi di solitudine nelle stagioni americane e il modo in cui il film costruisce l’idea di leggenda intorno al silenzio della tragedia. E se siete appassionati di pallacanestro, provate a confrontare i suoi numeri e il suo stile con il basket moderno: vedrete quanto ha anticipato i tempi.

Proprio la rappresentazione dei lati più intimi, privati e sconosciuti dei protagonisti è forse il pregio maggiore dei film biografici sulle star dello sport in confronto ai documentari. Forse ne è anche il difetto. Proprio questo sguardo ravvicinato sulla nascita del campione jugoslavo-croato conduce gli spettatori, soprattutto quelli che non hanno conosciuto la complessità di quei paesi (la Jugoslavia prima, la Croazia poi) a leggere in modo diverso anche quella drammatica pagina di storia europea.


La famiglia come fondamento


Una storia fatta di intrecci etnici, culturali, religiosi. Come quello che portarono il giovane poliziotto serbo di Bosnia Jole a sposare la giovanissima croata Biserka. I genitori di Dražen Petrović. Una storia in cui lo sport più popolare, ancora più del calcio, è proprio il basket. Il fratello maggiore Aleksandar detto Aca, modello e a volte rivale, lo ispirò e spinse il futuro campione verso l´Olimpo dello sport.


Famiglia Petrovic

Da ragazzino Dražen passava ore ad allenarsi in solitudine, tirando senza sosta al canestro dietro casa o in palestra, ottenendone le chiavi per restare a praticare fino a tarda sera. Era un ragazzo che, costruendo ogni canestro con fatica, disciplina e dedizione maniacale, aveva compreso che al talento, dono innato, bisognava unire impegno e sacrificio per raggiungere le vette del successo.


Anche il sostegno dei genitori fu decisivo, in particolare la madre Biserka, furono il sostegno costante nella crescita di un ragazzo che sognava in grande. Nel film la madre è la voce che incoraggia, la mano che trattiene, la protezione che non scompare mai. Lo incoraggiano soprattutto quando il futuro campione si trova alla prese con un grave problema ad un´anca, che rischia di bloccare prematuramente la carriera. Lui e la sua famiglia stringono i denti, il ragazzo combatte con determinazione e non molla.


Un fratello per amico


Si è detto di come dietro la leggenda di Dražen ci sia sempre stato Aca Petrović, fratello maggiore, per lui un riferimento costante. Giocatore di alto livello a sua volta, poi allenatore, Aca fu il primo rivale e compagno di allenamenti. Le loro sfide infinite nei playground di Šibenik furono il laboratorio dove Dražen affinò tecnica, carattere e resistenza.


Fratelli Petrovic

Ma Aca non fu solo il fratello: fu anche la coscienza critica, il consigliere, colui che lo riportava con i piedi per terra. Persino quando Dražen esplose in NBA, Aca restò il suo punto di equilibrio. Senza quella rivalità fraterna, è difficile immaginare il Mozart del basket così ossessionato e determinato.


Accanto a loro, il primo amore Renata mostra un lato intimo e delicato del campione: non solo pallacanestro, ma anche desiderio di normalità, di affetti, di vita oltre il parquet. È una relazione tenera, nata a Zagabria, che segna la sua giovinezza. Con lei Dražen conosce l’amore vero, quello fatto di confidenze e progetti condivisi. Ma il sogno americano, con la partenza per la NBA, spezzerà quella storia: la distanza e i ritmi della carriera ne decretarono la fine. È un dettaglio che umanizza Dražen, ricordandoci che dietro il campione c’era anche un ragazzo vulnerabile.


Dal Cibona al Real Madrid: la consacrazione europea


Petrovic nel Cibona Zagabria

Dopo i primi passi nella KK Šibenka, Dražen si affermò con il Cibona Zagabria, vincendo titoli nazionali e continentali: campionato e coppa di Jugoslavia, due Coppe dei Campioni, altri successi continentali. Diventa un apripista per tanti cestisti del suo Paese. Il salto definitivo arrivò nel 1988, lo chiamano in Spagna, a Madrid. Anche nel basket i galacticos rappresentano un mito. Con il trasferimento al Real Madrid Petrović divenne simbolo di un basket europeo sempre più ambizioso e competitivo, . Al Real non era soltanto un giocatore, ma un leader: il simbolo di un’Europa che iniziava a guardare oltre i propri confini, pronta a sfidare il mondo. Petrović costruisce un altro pezzo del suo mito. Fu lì che perfezionò il tiro da tre punti (introdotto proprio a metà degli anni Ottanta, come ricorda il film), arma di precisione che lo rese temuto e ammirato.


Giocatori Cibona

In secondo piano nel film i successi con i colori della nazionale jugoslava, che stava vivendo gli ultimi gloriosi anni. Bronzo a Los Angeles nel 1984, al fianco del fratello Aca, poi argento a Seul quattro anni dopo. Campione d´Europa nel 1989 e campione del mondo nel 1990. La Jugoslavia aveva creato una vera scuola cestistica d’élite, che formò campioni come Vlade Divac, Toni Kukoč, Dino Rađa, tutti protagonisti della NBA e delle competizioni europee. La dissoluzione politica del Paese però li divise: ognuno si ritrovò a rappresentare una nuova identità nazionale.


Con l’indipendenza della Croazia (1991), Dražen assunse il ruolo di ambasciatore e simbolo di rinascita nazionale. Alle Olimpiadi di Barcellona 1992, contro il Dream Team, si consumò la consacrazione mediatica: non solo sfidò Jordan e Magic, ma diede un volto internazionale alla nuova Croazia in cerca d´identità.


L’avventura americana


Petrovic e compagni festeggiano

L´ultima parte del film ci accompagna, invece, con una certa dovizia di attenzioni alla nuova svolta decisiva, raccontandola con profondità e senza idealizzazioni. Nel 1989 si avvera il sogno di Dražen Petrović, chiamato dal paradiso americano del basket: anche in questo caso è una notevole sfida, visto che pochi sono i cestisti europei scelti per calcare i palcoscenici della NBA. L’approdo nella nuova realtà non fu immediato né facile. Dopo essere stato scelto dai Portland Trail Blazers nel 1986, tuttavia poi partire per gli Stati Uniti solo tre anni dopo. Sulla West Coast trovò poco spazio: chiuso da guardie già affermate, giocò minuti marginali e si sentì relegato al ruolo di comparsa. Per un giocatore ossessionato dall’allenamento e dalla perfezione, fu un’esperienza frustrante.


Il trasferimento ai New Jersey Nets nel 1991 cambiò tutto. Qui Dražen esplose, dimostrando di poter essere non solo competitivo, ma dominante anche nel campionato più duro del mondo. Nella stagione 1992/93 mise a segno una media di 22,3 punti a partita, la miglior performance mai registrata fino ad allora da un europeo in NBA.


Il suo stile era in anticipo sui tempi: era un tiratore implacabile, capace di colpire da tre punti con percentuali altissime, ma anche di penetrare e concludere al ferro. Era un mix raro di tecnica europea e grinta americana, e per questo influenzò profondamente l’evoluzione del basket moderno.


Le onde del destino e dell´amore


Petrovic capelli corti

Sopra ho già accennato, però, alle crepe che si aprirono tra Dražen e Renata proprio durante il soggiorno americano. La donna non riusciva più a reggere un rapporto, in cui lei era diventata quasi accessoria. Petrović era troppo concentrato su partite, allenamento, trasferimenti, appuntamenti con i media. Così la loro bellissima storia d´amore inevitabilmente finisce.


La pellicola giustamente concede molto spazio anche a questo fallimento nella vita del campione croato, che probabilmente lasciò delle ombre nel suo animo. Forse ci sono state concessioni melodrammatiche, ma non hanno intaccato più di tanto lo spirito generale e l´obiettivo di presentare un´immagine non idealizzata, ma in generale affettuosa del grande cestista.


Il suo cuore verrà poi occupato da una nuova compagna, Klara Szalantzy, una giocatrice di pallacanestro tedesca, poi divenuta moglie del calciatore Oliver Bierhoff. Proprio sull´auto guidata da Klara, Petrović, reduce da una trasferta in Polonia con la nazionale croata, per viaggiare tranquillamente con lei alla volta di Monaco di Baviera, trova di fronte a sé un´altra sliding door, l ´ultima. Piove, l´asfalto diventa scivoloso, Klara perde il controllo dell´auto ed esce di strada. Lei resta gravemente ferita, invece per Dražen Petrović non c´è niente da fare. Finisce la sua breve, straordinaria vita di campione amato e stimato da tutti. Inizia il mito. Come in un cerchio il film si apre e si chiude su questo colpo del destino.


La chioma ribelle che divenne simbolo


Petrovic con pallone

Nella memoria collettiva, Dražen non è ricordato solo per i canestri impossibili, ma anche per il suo aspetto da giovane: un grande cespuglio di riccioli neri, che faceva pensare ai cestisti afroamericani degli anni ’70. Era una chioma ribelle, iconica, che trasmetteva vitalità e spontaneità.


Quel look è stato ripreso anche nel manifesto del film, dove il giovane campione viene rappresentato proprio con quei ricci voluminosi. È un dettaglio che può sembrare estetico, ma che in realtà contribuisce a fissare nell’immaginario il ritratto di un ragazzo che, pur europeo, portava in sé lo spirito e l’energia del basket globale.


Per chi volesse approfondire la conoscenza di questa leggenda del basket, posso qui consigliare due libri a lui dedicati. Il primo, dell´americano Todd Spehr, dal titolo „The Mozart of Bastketball“; il secondo „Drazen Petrovic. Il primo uomo sulla luna“ di Lorenzo Iervolino.  La memoria di Dražen non è confinata ai libri di storia sportiva: è nel tessuto urbano e nella cultura pop. Murales, tornei giovanili, mostre itineranti, citazioni nelle telecronache: la sua presenza è ovunque. Sui social, video dei suoi tiri diventano highlight virali, mentre le nuove generazioni scoprono in lui un modello che non conosce tempo.


Il canestro oltre la vita


Partita di basket

Il suo mito ha una funzione collettiva: ricorda alla Croazia e al basket europeo che l’eccellenza non conosce confini e che i sogni più grandi nascono spesso da luoghi piccoli. L’eredità di Dražen si misura soprattutto nelle nuove generazioni: non solo i futuri professionisti studiano il suo gesto tecnico, ma tanti ragazzi scoprono nel suo esempio la lezione più preziosa: la costanza batte il talento senza lavoro e senza disciplina. Dražen è evocato ancora come esempio quotidiano: non tanto per le statistiche, quanto per l’etica del lavoro. È questa la sua eredità più grande: una lezione di vita, oltre che di sport.


La parabola di Dražen Petrović resta unica: breve, intensa, capace di attraversare generazioni. Il Mozart del basket vive nelle arene, nelle maglie ritirate, nelle storie raccontate a bordo campo e nelle clip che circolano online. La sua lezione è semplice e potente: non conta quanto tempo hai, conta quanto coraggio ci metti.


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