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IL MATTATORE E LO SPORT: DAL BASKET AL PUGILATO (1)

Aggiornamento: 30 giu

"Senti, leggete i giornali domattina: a me me trovate nelle pagine sportive, a

ll’avversario mio negli annunci mortuari!

Peppe "Er Pantera" in "I soliti ignoti" (1958)



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Scopri il rapporto speciale tra Vittorio Gassman e lo sport: dalla carriera cestistica giovanile nella S.S. Parioli ai ruoli cinematografici che hanno fatto storia. Un viaggio nella vita del Mattatore attraverso basket, tennis e le indimenticabili interpretazioni di Peppe “er Pantera” ne “I Soliti Ignoti” e dell’ex pugile ne “I Mostri”. L’energia atletica che ha reso unico uno dei più grandi attori italiani del Novecento, tra palcoscenico e grande schermo.


IL MATTATORE E LO SPORT: PASSIONE NON SOLO SULLO SCHERMO


"Il ciclismo non mi piace. È uno sport antiestetico. Ingrossa le gambe..."  Così diceva Bruno Cortona ne "Il Sorpasso", ma dietro quella battuta ironica si celava la vera passione sportiva di Vittorio Gassman, un amore autentico che ha attraversato tutta la sua vita e la sua carriera artistica.

Sono passati esattamente 25 anni dalla scomparsa di quello che si può considerare il più grande, o almeno uno dei più grandi e popolari attori italiani: Vittorio Gassman. Seppe creare molti personaggi, diversi dei quali hanno incarnato con disincanto e a volte cinismo gli italiani di allora, ma anche di oggi.  Come definì Lietta Tornabuoni su "La Stampa", commemorandolo il giorno dopo la morte, il personaggio-tipo di Gassman era "un magnifico cialtrone".


Il Mattatore è stato uno dei giganti del cinema italiano del Novecento, capace di brillare sul palcoscenico teatrale e sul grande schermo. Ma oltre al talento artistico straordinario, Gassman era appassionato di sport sin dalla sua giovinezza, una passione che non solo ha influenzato la sua vita personale, ma si è riflessa anche in alcuni dei suoi film più memorabili, contribuendo a creare personaggi dinamici e indimenticabili.


LE RADICI SPORTIVE DEL FUTURO MATTATORE


Nato il 1° settembre 1922 a Genova ma trasferitosi presto a Roma a causa del lavoro del padre, l'ingegnere tedesco Heinrich Gassmann, Vittorio Gassman mostrò fin da giovane un talento atletico eccezionale. Durante gli anni del liceo al Tasso, il futuro Mattatore era soprannominato "Gallinaccio" per via del collo lungo e delle gambe infinite che lo caratterizzavano.


Alto 1,87 metri (alcuni sostengono 1,89), Gassman si distinse come vera promessa del basket, tanto da essere convocato in Serie A e nella nazionale giovanile universitaria. La sua statura imponente si univa a una straordinaria energia e a quella che lui stesso definiva "un'aggressività mostruosa" - non nel senso negativo, ma come quella forza vitale che contraddistingue i grandi atleti.


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Come raccontò lo stesso attore anni dopo: "Io ho avuto una piccola carriera di cestista, ma giocavo malissimo a pallacanestro, non ho mai avuto una tecnica, non ho mai saputo capire veramente l'arabesco tecnico del gioco, il passaggio smarcante: avevo soltanto un tiro molto preciso e soprattutto avevo un'aggressività mostruosa."


L'allenamento fisico e la disciplina sportiva rimasero parte integrante della sua vita, contribuendo alla sua presenza scenica carismatica e al suo portamento elegante. Come ha sempre ricordato il figlio Alessandro, papà Vittorio manteneva "l'energia di un atleta", un tratto che emergeva chiaramente nelle sue performance artistiche.


BASKET PRIMO AMORE


Quella che Gassman stesso definiva modestamente "una piccola carriera" fu in realtà una breve ma soddisfacente esperienza agonistica con il basket, all'epoca sport ancora di nicchia in Italia. Cominciò a giocarvi al liceo, favorito da un´altezza già considerevole per l´età, continuando poi durante gli studi universitari di giurisprudenza mai conclusi. Contemporaneamente frequentava, per suggerimento della madre, l'Accademia d'arte drammatica Silvio D'Amico.


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Gassman era pivot della S.S. Parioli di Roma, squadra che venne poi ribattezzata "Bruno Mussolini" in onore di uno dei figli del Duce morto in un incidente aereo. La squadra romana si classificò sempre in posizioni di rilievo, fino al giugno 1942 quando riuscì a lottare fino all'ultimo per lo scudetto contro la Reyer Venezia.


Nell'incontro decisivo sulla laguna, terminato 33 a 28 per i veneti, Gassman realizzò solo 3 punti. "Giocai malissimo, ero poco allenato", avrebbe confessato anni dopo, quando aveva già abbandonato il pallone a spicchi per la recitazione. Nel 2017 "La Gazzetta dello Sport" ha dedicato a questo match un articolo, naturalmente incentrato sulla prestazione del futuro Mattatore.


Poche settimane prima aveva indossato la maglia della Nazionale universitaria nella vittoria per 34 a 17 contro l'Ungheria, e successivamente aveva anche esordito nella Nazionale maggiore contro la Germania durante la guerra.


Il basket però non era ancora uno sport professionistico, e quando la stampa sportiva attribuì una sconfitta "alle luci della ribalta che avevano accecato Gassman", il giovane Vittorio decise di abbandonare la carriera sportiva per dedicarsi completamente al teatro. La passione per lo sport stava ormai lasciando il posto a quella per il palcoscenico, che assicurava forse più soddisfazioni professionali.


SPORT COME FILOSOFIA DI VITA


Abbandonare il basket non significò per Gassman dire addio allo sport. L'energia atletica che lo caratterizzava non era solo fisica, ma mentale: la disciplina dello sport, l'abitudine al sacrificio e la capacità di gestire la pressione diventarono parte integrante del suo approccio alla recitazione.


Lo sport non era solo una questione di competizione per Gassman, ma anche un modo per canalizzare la sua vitalità. Questa passione si tradusse in una routine che lo aiutava a mantenere la forma fisica necessaria per affrontare ruoli impegnativi, sia in teatro che al cinema.


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A quarant'anni suonati si innamorò del tennis, sport che considerava "dopo il pugilato il più duramente agonistico". Come spiegava con la sua solita verve: "È come mettersi di faccia uno all'altro e darsi un cazzotto per uno finché uno dice basta." E nonostante avesse iniziato "ormai monco per sempre", riusciva spesso a battere avversari tecnicamente superiori grazie alla sua grinta e mentalità vincente. Sul rapporto di Gassman con il tennis torneremo nella seconda puntata dell´articolo a lui dedicato.


Tuttavia, l’allenamento fisico, la disciplina sportiva, la grinta e lo spirito di squadra rimasero parte integrante della sua vita, contribuendo alla sua presenza scenica carismatica e al suo portamento elegante. Come ha ricordato il figlio Alessandro, Gassman aveva “l’energia di un atleta”, un tratto che emergeva chiaramente nelle sue performance.


Lo sport non era solo una questione di competizione per Gassman, ma anche un modo per canalizzare la sua vitalità. Questa passione si tradusse in una routine che lo aiutava a mantenere la forma fisica necessaria per affrontare ruoli impegnativi, sia in teatro che al cinema. La sua capacità di passare da personaggi drammatici a comici era supportata da un’energia fisica che richiamava senz´altro il suo background sportivo.


La passione di Gassman per lo sport non si limitava alla sua vita o ai ruoli cinematografici, ma si rifletteva nel suo approccio al mestiere di attore. La sua versatilità, il suo carisma e la sua capacità di dominare la scena derivavano in parte dalla disciplina appresa nello sport. Come atleta, aveva imparato l’importanza del ritmo, della preparazione e della resistenza, qualità che trasferì nelle sue interpretazioni. di Gassman allo sport era istintivo, viscerale. Non amava gli sport che richiedevano solo tecnica fine: preferiva il confronto diretto, la sfida fisica e mentale. Questa filosofia si rifletteva perfettamente nel suo modo di recitare: sempre intenso, sempre totale, mai banale.


NASCE PEPPE ER PANTERA: LA SVOLTA COMICA DI GASSMAN


Il 1958 segna una svolta fondamentale nella carriera di Gassman. Mario Monicelli lo sceglie per "I Soliti Ignoti", capolavoro della commedia all'italiana, per interpretare Peppe "er Pantera", un pugile di periferia che cerca di organizzare un furto maldestro insieme ad una banda di complici altrettanto imbranati e improvvisati.


È il primo film in cui Gassman sfrutta il suo passato agonistico, proprio impersonando uno sportivo, anche se farsesco, Il soprannome “er Pantera” e il personaggio del pugile sottolineano la fisicità di Gassman, che porta in scena un mix di forza e goffaggine, rendendo il ruolo immortale. La boxe, sport popolare nell’Italia del dopoguerra, diventa così un elemento narrativo che arricchisce la caratterizzazione del personaggio.


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La scelta inizialmente suscitò perplessità tra i produttori: ritenevano l'attore troppo colto per il ruolo, considerando il suo passato teatrale e le interpretazioni da cattivo in molti film drammatici. Monicelli insistette sulla scelta, trasformando radicalmente l'aspetto di Gassman attraverso un trucco elaborato: l'attaccatura dei capelli venne abbassata, l´ampiezza della fronte ridotta, il naso, già tipico dell´attore, fu ancor più accentuato e le labbra rese cadenti. Venne inoltre studiata un'andatura particolare e introdotta una balbuzie che conferiva al personaggio un'aria da pugile rimbambito di periferia.


Monicelli ribalta ironicamente l'archetipo cinematografico americano del boxer che attraverso sacrifici raggiunge gloria e redenzione. Peppe appare inizialmente in uno scantinato squallido, avvolto in un accappatoio mentre si benda le mani, incarnando l'italiano medio-basso alle soglie del boom economico: ambizioso ma inadeguato. Ha giustamente osservato lo storico del cinema Graziano Tassi: “Ne I soliti ignoti quindi la boxe serve innanzitutto alla costruzione di un ambiente sociale, quello della periferia romana tra piccola malavita e poveri disoccupati dal cuore d’oro. In seguito, oltre alla dimensione sociale ed ambientale, il pugilato contribuisce alla creazione  del personaggio perdente e fallimentare, a mettere ancora più in risalto la sua inadeguatezza e la sua sfasatura."


I futuri complici gli propongono di fare "la pecora" (nel gergo della malavita romana significava sostituire qualcun altro in carcere) per centomila lire. Naturalmente Peppe rifiuta sdegnosamente. Il dialogo rivela subito la comicità del personaggio, un arrogante Capitan Fracassa, che in più balbetta in romanesco. Sicuro di sé e del suo successo sul ring, esce dallo spogliatoio per il match non prima di pronunciare una delle più celebri battute del film, in cui vanta spavaldamente che l´indomani, mentre il suo nome sarebbe stato sui titoli delle pagine sportive, quello del contendente sarebbe finito sugli annunci mortuari.



La scena del match è geniale: Peppe resiste grosso modo dieci secondi e dopo alcuni suoi movimenti goffi, un destro dell´avversario lo stende immediatamente. L'effetto comico è amplificato proprio dal divario tra aspettative e realtà, tra millanterie e performance. Nel corso del film Peppe cercherà in qualche modo di ricordare a tutti il suo (poco glorioso) passato da pugile, ad esempio per fare colpo su Nicoletta (Carla Gravina), la cameriera veneta a cui fa la corte, non solo perché ha bisogno di lei in vista del colpo. Ma noi spettatori, che abbiamo già capito chi sia questo fanfarone muscoloso, non ci facciamo ingannare e ne ridiamo (amaramente) ancora di più.


"SO´ CONTENTO!": TRISTE CREPUSCOLO DI UN ATLETA


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Nel 1963, durante il miracolo economico italiano, Dino Risi dirige "I Mostri", pellicola a episodi che presenta una serie di ritratti satirici della società borghese. L'episodio conclusivo "La nobile arte", di poco meno venti minuti (è il più lungo di tutti), rappresenta uno dei momenti più toccanti della commedia italiana.


Ugo Tognazzi interpreta Enea Guarnacci, un mediocre procuratore sportivo in rovina, mentre Gassman veste i panni di Artemio Altinori, ex pugile, palesemente "suonato" che ora gestisce con la moglie una trattoria su una modesta spiaggia dalle parti di Roma.


La trama ruota attorno al tentativo di Guarnacci di convincere Antinori a tornare sul ring per un incontro combinato, dove dovrebbe perdere intenzionalmente dopo il primo round per guadagnare qualche soldo. Inizialmente riluttante, l'ex pugile accetta. Sul ring resiste stoicamente ai duri colpi dell´avversario, ogni tanto finisce al tappeto, ma si rialza. Finita la prima ripresa Guarnacci gli assicura che la "borsa" ora è loro e che Altinori si può anche buttare al tappeto. E invece Artemio si lascia trascinare dall'orgoglio e riprende l´incontro non rispettando l'accordo prestabilito. L´avversario, più giovane e allenato, non ha pietà e al primo micidiale pugno lo fa finire K.O.



Il combattimento, ripreso dal punto di vista di Guarnacci, occupa cinque minuti dello sketch e culmina, quindi, nel tracollo di Artemio. La sequenza finale rivela il tragico epilogo: l'ex pugile, ora in carrozzella e con evidenti danni cerebrali irreversibili, gioca con un aquilone su una spiaggia malinconicamente deserta sotto la supervisione di Guarnacci.


Risi amplifica gli elementi grotteschi attraverso ambientazioni degradate - palestre squallide, spiagge sporche - e personaggi marginali dalle aspirazioni superiori alle proprie possibilità. Gassman plasma un Antinori dal volto segnato e dallo sguardo spento, mentre la sua andatura e parlata tradiscono i danni dei pugni incassati. L'episodio trasforma il sogno di riscatto in regressione infantile, offrendo una riflessione amara sui fallimenti umani e sulle illusioni di gloria che si infrangono contro la realtà. Inoltre siamo ancora di fronte ad una rappresentazione non eroica del mondo della boxe, fatto di palestre fumose, scure, frequentati da personaggi poco raccomandabili (i due manager con cui Guarnacci conversa all´inizio dell´episodio), infine la brutalità di questo sport, che distrugge dentro e fuori chi lo pratica. Una rappresentazione meno classica e quindi lontana dai boxeur immortalati da Hollywood.




RAPPRESENTAZIONE NON CONVENZIONALE, MA REALISTICA DELLO SPORTIVO


La passione sportiva di Gassman non fu mai una semplice curiosità biografica, ma divenne parte integrante del suo linguaggio artistico. La fisicità, l’energia e la competitività apprese sui campi di basket si trasformarono in strumenti espressivi fondamentali.


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I suoi personaggi sportivi - come Peppe “er Pantera” e Artemio Altinori - non sono mai celebrativi, ma profondamente umani. Gassman aveva capito che lo sport poteva diventare una metafora esistenziale potentissima: la lotta per emergere, la sconfitta, il riscatto mancato, l’illusione di grandezza che si infrange contro la realtà.


La sua capacità di passare dal drammatico al comico, di essere credibile tanto in ruoli eroici quanto in quelli grotteschi, derivava anche da quella disciplina mentale appresa nello sport. L’attore che aveva vissuto la tensione di un match decisivo sapeva perfettamente come gestire l’adrenalina di una prima teatrale o di una parte difficile da recitare davanti alla macchina da presa.


Nella seconda parte di questo ricordo di Vittorio Gassman tratteremo il suo rapporto, nel cinema e nella vita reale, con altri sport, soprattutto con il calcio.





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