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CHE VITACCIA! VITTORIO GASSMAN E IL CALCIO (2)

Aggiornamento: 24 lug

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Seconda parte del nostro itinerario attraverso la carriera sportiva, reale e artistica, del grande Vittorio Gassman a 25 anni dalla sua morte, avvenuta il 29 giugno 2000. Protagonista è il calcio, che anche per il Mattatore, come per la gran parte degli italiani, era un grande amore.


Panem et circenses: la parodia del tifoso


Autenticamente appassionato dello sport nazionale, da tifoso della Roma, con simpatie anche per il Genoa, una delle due squadre della sua città natale, Gassman portò il calcio nei suoi film, spesso con un’ironia che metteva sotto i riflettori per lo più criticamente il rapporto viscerale degli italiani con questo sport. Innanzitutto è il tifo ad essere preso di mira dal genio poliedrico del Mattatore, che fa delle sue interpretazioni anche uno strumento di critica sociale.


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Ripartiamo proprio da „I mostri“, con cui abbiamo concluso la prima parte, dove ci eravamo dedicati ampiamente all´episodio conclusivo sul pugilato: „La nobile arte“. Nel bel mezzo del film risplende il breve „Che vitaccia“,  intenso e corrosivo racconto ambientato nella contraddittoria periferia romana di inizio anni Sessanta, dove moderni e anonimi palazzoni convivevano con misere baracche di legno. Un´ambientazione volutamente molto pasoliniana, ma in una rilettura tutta alla Dino Risi-Vittorio Gassman, nella migliore tradizione dissacrante della commedia all´italiana.


Gassman veste i panni laceri di un borgataro che, nonostante la povertà, la dimora cadente in cui vive e un figlio malato, si precipita allo Stadio Olimpico per tifare la Roma. Preso da passione frenetica per i suoi eroi in maglietta e calzoncini, prima maledice uno degli idoli giallorossi del tempo, l´italo-argentino Pedro Manfredini, detto „Piedone“, poi per la gioia rischia un malore, quando l´altro romanista Orlando segna uno splendido gol di testa. La battuta “Oddio, lo sturbo!” è diventata celebre, un esempio di come Gassman riuscisse a rendere universale e al tempo stesso a deridere il tifo calcistico, sicuramente prendendo in giro anche di se stesso.



Il calcio come alibi


Una simulata passione per il calcio è quella che devono inscenare i componenti della rinata banda di soliti ignoti (con Nino Manfredi al posto di Marcello Mastroianni) nel sequel del capolavoro di Monicelli: „Audace colpo dei soliti ignoti“ (1959), affidato alla regia di Nanni Loy. Questa volta la raffazzonata gang ha un obiettivo ancora più ambizioso: rapinare un compiacente ragioniere del Totocalcio a Milano. Questo non è il solo accenno allo sport, perché i nostri eroi si muovono verso il nord, costruendosi però un alibi: sono tifosi di calcio e vanno ad assistere al big match Milan-Roma (effettivamente svoltasi il 29 settembre 1959 per la seconda giornata di campionato, come ricorda Peppe, e finita 1 a 1).


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Lo stesso Gassman è protagonista di un´esilarante duello verbale con un commissario di polizia, millantando la sua presenza da tifoso allo stadio di San Siro per questa partita. Interrogato sullo svolgimento del match, Er Pantera, che si è imparato a memoria la cronaca letta sul giornale, snocciola senza esitazioni i particolari di un´azione, citando quattro campioni dell´epoca: „Al quarantunesimo Altafini detto Mazzola, ricevuta la sfera di cuoio dallo scattante Danova, aggirava l’accorrente Bernardin e lasciava partire di sinistro una secca staffilata che si insaccava alla convergenza dei pali, niente da fare per il pur vigile Panetti.“ Si tratta, per la precisione, tra i rossoneri del brasiliano José Altafini (campione del mondo nel 1958 accanto al giovanissimo Pelé e più tardi centravanti di Napoli e Juventus) e Giancarlo Danova (curiosamente soprannominato dai tifosi del tempo „Pantera“…), e tra i giallorossi di Giorgio Bernardin e del portiere, il marchigiano Luciano Panetti, allora considerato tra i migliori numeri uno italiani.


La battuta più memorabile di questa scena riguarda, però, il paragone tra tifosi romanisti e laziali. Er Pantera giustifica la propria sospetta presenza nel capoluogo lombardo: „Io se stavo a Milano è per via dell’omonima partita e sempre Forza Roma” Un vice-brigadiere fa notare che, con lui, erano già 12 i pregiudicati interrogati che sarebbero stati tra i tifosi romanisti. Al che l´ex pugile ribatte: “Scusi vero se mi permetto, ma solo dodici su quasi mille tifosi romanisti è una percentuale di pregiudicati irrisoria, oh! Fra i laziali è molto maggiore!



Di sfuggita il versante tifoso dell´italiano medio rappresentato da Gassman nei suoi film si intravede anche nel protagonista del Il Gaucho (1964) ancora di Dino Risi, film che racconta la malinconia avventura oltreoceano di uno spiantato impresario di cinema in trasferta in Argentina. Quando dopo tanti giorni lontano dall´Italia riesce a parlare al telefono con la moglie, prima di salutarla le chiede con molto interesse, qualcosa che gli sta molto a cuore: “Cosa ha fatto la Roma?”.


La maschera grottesca del tifoso italiano



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Sempre utilizzando in maniera critica e dissacrante la passione nazionale per il calcio, Gassman mette in scena una delle sue più straordinarie e corrosive performance cinematografiche nel finale di „In Nome del Popolo Italiano“ (1971), diretto dal solito Dino Risi. L´ingegnere Santenocito (il personaggio principale interpretato nel corso del film da Gassman) è un palazzinaro senza scrupoli, accusato ingiustamente dell´assassinio di una giovane squillo. In un pomeriggio caldo e pieno di sole, mentre Roma è deserta, perché tutti sono davanti alla tv per la telecronaca di un immaginario Italia-Inghilterra, il giudice Bonifazi (Ugo Tognazzi), che indaga sul caso, legge il diario della vittima, che scagionerebbe il protagonista. Va ricordato che, negli anni Settanta, le sfide calcistiche tra gli azzurri e i bianchi d´Inghilterra avevano un ruolo significativo nell´immaginario collettivo popolare: abbiamo già visto il pretesto di questo incontro con Fantozzi, ma un (reale) Italia-Inghilterra sarà al centro di una scena memorabile di "Pane e cioccolata" di Franco Brusati, interpretato da Nino Manfredi.


Torniamo all´assolato pomeriggio romano del film di Risi. Al fischio finale del fittizio incontro (terminato con il successo degli azzurri, profetico visto che due anni dopo effettivamente la nostra nazionale sarebbe riuscita finalmente a superare per la prima volta gli inglesi) i tifosi scendono festanti in strada (si era a un anno dall´esplosione di entusiasmo durante i mondiali messicani). Il giudice è disgustato dalle reazioni di smisurata euforia della folla. Ancor più lo terrorizzano cinque rapide apparizioni, quasi epifaniche, di figure che nella sua mente simboleggiano e deformano, in maniera grottesca, i vizi nazionali dei tifosi, e, in definitiva, di tutti gli italiani.


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Queste figure hanno tutte il volto di Gassman-Santenocito, in cui Bonifazi, in definitiva, vede incarnati i lati negativi dei suoi connazionali. Nella magistrale sequenza il Mattatore è un vero campione di mimetismo. Accompagnati dalla musica in stile circense di Carlo Rustichelli, si esibiscono in questa onirica rassegna degli orrori altri "mostri", non meno orribili di quelli dell´omonimo film dello stesso Dino Risi, che definì questa sequenza conclusiva come una "orrenda sarabanda".


Per primo appare come prete, che, insieme a giovani seminaristi, in latino gioisce per il successo della nazionale. In questa onirica rassegna degli orrori seguono un vecchio nostalgico del fascismo, che inneggia ai suoi idoli, vecchi e nuovi („Viva Boninsegna, viva Rivera, viva il Duce!“), e un ufficiale in divisa che con i suoi soldati intona canti denigratori verso gli inglesi. Gassman veste poi gli abiti succinti di una prostituta, che non si lascia sfuggire sfottò verso il capitano della nazionale inglese („Ah Bobby Moore, ah gran figlio de ´na mignotta!“). Infine un altro volgare e cialtronesco tifoso, armato di tricolore e fiasco di vino, incita a dare fuoco all´auto di un´improvvida turista inglese, capitata nel bel mezzo del delirio distruttivo della folla. La reazione finale e sconsolata del giudice Bonifazi è di gettare tra le fiamme dell´auto il diario, che avrebbe salvato Santenocito.



È un gesto di forte valenza simbolica, un messaggio (forse moralistico) nei confronti di quella parte dell´anima degli italiani basata su volgarità, becero sciovinismo, machismo, superficialità, intolleranza, violenza, verbale e non. Qui, il calcio diventa un simbolo dei difetti degli italiani e Gassman, con la sua interpretazione poliedrica, ne amplifica la critica sociale. Questi momenti cinematografici sottolineano come il calcio fosse per Gassman non solo una passione personale, ma un mezzo per esplorare la società italiana con le sue contraddizioni.


Dino Risi, intervistato da Alberto Crespi alla vigilia di un´altra vera partita tra Italia e Inghilterra nell´ottobre 1997 (valida per le qualificazioni ai mondiali del 1998), confermava la notevole forza, simbolica e non, delle maschere inventate da Gassman nel celebre finale del film: "Il tifo era anche un modo di raccontare la volgarità di una certa Italia. Gassman, nel film, rappresenta la disonestà, la corruzione, la volgarità di un paese. I tifosi, alla fine, sono un Gassman moltiplicato per mille. Facemmo una cosa analoga anche nei Mostri, nell’episodio del baraccato che si fa dare i soldi per le medicine per i figli e li spende per andare a vedere la Roma allo stadio. Era una scena apocalittica, con Gassman - ancora una volta - che si avvolgeva nella bandiera giallorossa, urlando, ma non era poi tanto diversa da ciò che si vedeva, e si vede, nelle curve degli stadi."


Nella stessa intervista di quasi trent´anni fa il regista milanese raccontò anche del suo rapporto distaccato nei confronti del calcio, condiviso con molti altri grandi protagonisti del cinema italiano del tempo, come gli sceneggiatori di "In nome del popolo italiano", Age e Scarpelli: "Non parlavamo mai di calcio. Non saprei nemmeno dirti a che squadra tengono. Il calcio era una fetta della realtà che tenevamo, per così dire, sotto osservazione. Coglievamo, così a naso, che era un collante, un “valore” imprescindibile per molte persone, assieme all’automobile e alla famiglia. Tra l’altro, forse l’unico, di questi valori, a reggere ancora oggi. Il finale di In nome del popolo italiano venne spontaneo: se l’Italia doveva scendere in piazza, e mostrare il suo vero volto, doveva essere per una partita, e quella partita doveva essere contro l’Inghilterra. Il match con gli inglesi è sempre ad alto contenuto simbolico, è il terreno in cui ciascuno dei due popoli esalta la propria identità, i propri pregi e i propri difetti. Gassman si divertì molto a girare quella scena. Adorava i travestimenti, le maschere grottesche, mentre si “vergognava” a recitare con la propria faccia, come nel Sorpasso, ed era incomprensibilmente geloso di Tognazzi. Avevamo un rapporto come marito e moglie, mi faceva le scenate, invidiava a Tognazzi un approccio più sereno e disincantato alla recitazione e, di riflesso, alla vita."


Quattro calcio ad un pallone


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Non mancano, tuttavia, brevi esibizioni calcistiche nel cinema di Vittorio Gassman. Si tratta di momenti accessori allo svolgimento delle trame dei film, ma contribuiscono a mettere in scena non solo momenti distraenti e, in parte, comici, bensì anche ad evidenziare ancora una volta la forte vitalità e presenza fisica dell´attore. Il quale, anche fuori del grande schermo, non disdegnava di partecipare a incontri amichevoli, soprattutto con colleghi, come testimonia l´immagine qui sopra, che lo immortala accanto ad un Gian Maria Volonté nelle vesti inconsuete di calciatore.



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In Il Successo (1963) di Mauro Morassi, Gassman interpreta un architetto ambizioso che, in una pausa dal dramma esistenziale che sta vivendo, sul piazzale di un convento gioca una partita caotica con dei frati in tonaca, dribblandoli facilmente anche grazie ai suoi abiti „civili“. La scena, leggermente liberatoria, attenua il tono angoscioso della pellicola, mostrando la versatilità dell’attore nel passare da momenti drammatici a sprazzi di leggerezza. Il film ne aveva bisogno: infatti si tratta di una di quelle commedie all´italiana, che racconta piccole tragedie borghesi e rappresenta una critica di costume ai sogni di grandezza di molti italiani durante il boom economico.

 

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Sempre parlando di calcio attivo, ma in modo anacronistico, veniamo ad un film in costume: „L’Arcidiavolo (1966), diretto da Ettore Scola e ispirato ad una celebre novella di Niccolò Machiavelli. Un Gassman in gran forma, attoriale e sportiva, interpreta Belfagor, un affascinante e, ovviamente, perfido diavolo mandato da Lucifero nella Firenze rinascimentale per scongiurare la pace tra il Papa e la città. Presi con l'inganno i panni del Principe Cybo (Luigi Vannucchi), sposo designato di Maddalena (Claudine Auger), figlia di Lorenzo il Magnifico (Gabriele Ferzetti). Belfagor arriva alla corte del Signore di Firenze in una splendida villa rinascimentale sulle colline toscane.


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Mentre sta corteggiando Maddalena, un adolescente Giovanni de' Medici già in vesti ecclesiastiche (per ricordarci che sarà il futuro Papa Leone X) interrompe improvvisamente l'idillio amoroso tra i due, mostrando un regalo ricevuto dal padre: un pallone di gomma (primo evidente anacronismo) che rimbalza qua e là per il cortile. Belfagor abbandona immediatamente il convegno romantico con Maddalena e corre come un bambino ad inseguire e calciare il pallone. Ne deriva una scena dissacrante ed esilarante, anticipazione della passione calcistica italiana, resa con il dinamismo e il carisma di Gassman-Belfagor, preso dalla frenesia per il nuovo gioco, come abitudine tra gli italiani di quattro secoli dopo, organizza un´accesa partita di calcio, coinvolgendo il Magnifico e il giovane futuro pontefice, oltre a cortigiani vari, ecclesiastici e guardie in armatura. Gli effetti di sottile comicità della sequenza culminano con un calcio di punizione (in barriera sono anche Lorenzo e Giovanni): Belfagor ovviamente fa centro con sua grande gioia. La fallace profezia di Clarice Orsini (Hélène Chanel), moglie del Magnifico, secondo la quale, sbagliando di molto, “fra poco di questo gioco non si parlerà più”, aggiunge un tocco di ironia storica.


A tu per tu con il Mattatore del calcio


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Con il passare del tempo, vedremo nella prossima puntata, Vittorio Gassman si esibì sempre meno nel calcio giocato (preferiva sfogare i suoi ardori agonistici nel tennis), non disdegnando tuttavia interesse e passione per il calcio agonistico e per i campioni che si esibivano nel campionato italiano. Nota la sua ammirazione per Roberto Baggio: pochi anni prima della scomparsa di Gassman i due si incontrarono quando il calciatore militava, con alterne fortune, nell´Inter. Ebbero un amichevole colloquio, scambiandosi anche due simboliche magliette con i rispettivi cognomi. Un incontro tra due "mostri", due geni e due artisti. Così il Mattatore dei palcoscenici e del grande schermo onorò l´altro Mattatore, quello degli stadi: "Caro Baggio, con la sincerità doverosa dei vecchi le confesso: non sono mai stato tifoso di nessuna delle squadre in cui lei ha giocato. Ma sono sempre stato suo tifoso. C’è in lei qualcosa di diverso. La trovo un uomo modesto, piacevolmente umile." Ennesima dimostrazione dell´intelligenza di Vittorio Gassman, oltre che del profondo rispetto che nutriva per chi aveva talento e passione, più o meno come lui.



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