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IN BICI IN FUGA DAL DIAVOLO: CON TOTÒ PER LE STRADE DEL GIRO D´ITALIA (2)

Locandina "Totò al Giro d´Italia"

L'incontro tra due mondi

 

Eccoci alla seconda tappa del nostro revival su "Totò al Giro d'Italia" (1949). Mentre Pogačar ha vinto il Criterium du Dauphiné, antipasto del suo probabile secondo trionfo al Tour de France che prenderà il via fra un paio di settimane, torniamo indietro nel tempo per esplorare questo capolavoro cinematografico.

 

Abbiamo lasciato in casa Casamandrei Totò, Isa Barzizza, l'ex-diavolo Roberto Micheluzzi e i tanti campioni del pedale che hanno accompagnato il Principe De Curtis nella surreale caccia alla maglia rosa. Probabilmente lo stravagante professore sposerà la bella Doriana, ma scopriamo come è nato questo film e che accoglienza ha avuto da pubblico e critica.

 

Una lavorazione difficile

 

Prodotto in concomitanza con il Giro di Lombardia 1948, di cui furono girate alcune scene che rappresentano le sequenze ciclistiche vere e proprie, il film non fu facile da realizzare. Bisognava convincere i tanti ciclisti professionisti ad abbandonare per qualche giorno allenamenti, gare e soprattutto la vita quasi monacale degli sportivi. Non solo: occorreva conciliare le loro esigenze e tempistiche con quelle del mondo dello spettacolo.

 

Raccontò il regista Mario Mattoli: "Mentre i ciclisti erano abbastanza disciplinati (a loro piaceva correre presto la mattina), Totò non si alzava perché aveva cercato di stabilire come suo diritto quello di alzarsi tardi. Diceva che l'attore è abituato ad andare tardi a cena, tardi a letto, e la mattina non può alzarsi presto".

 

Una conferma di questa incompatibilità quasi esistenziale arriva dal ricordo di Isa Barzizza:

 

"Fatiche tremende, posti scomodissimi, freddo, con tutto questo mondo sportivo che proprio non combaciava con la maniera di essere di Totò. Lui viveva molto da solo, faceva orari particolari, non andava a letto prima delle cinque della mattina per cui dormiva quasi tutto il giorno e quando doveva fare i film si sconvolgeva un po' perché doveva cambiare tutti i suoi orari. Insomma questi due mondi erano proprio come l'acqua e l'olio, non c'era maniera di accordarli." (Alberto Anile, I film di Totò (1946-1967). La maschera tradita, 1998).

 

Alla fine, però, si creò un clima armonico di amicizia e collaborazione. Ancora Mattoli:

 

"Coppi, Bartali e gli altri inizialmente ci accolsero con una certa diffidenza, anche se erano affascinati dal mondo del cinema. In fin dei conti, anche se erano i divi acclamati del momento, erano pur sempre dei provinciali! Poi, a poco a poco, acquistarono simpatia per lui tanto che gli ultimi giorni furono piacevolissimi perché andavamo proprio d'accordo. Quando vennero da noi erano tutti preoccupati degli allenamenti, della bicicletta, poi furono affascinati da Totò, perché stare vicino a lui dava l'impressione di stare vicino a un essere straordinario, perché era comico e anche generoso. Era nobile veramente, in tutti i sensi. Coppi e Bartali lo chiamavano Principe e lui era contento e io più contento di tutti perché capivo che il film sarebbe venuto bene".

 

Walter Chiari, attore alle prime armi, avrebbe successivamente descritto così un'esperienza indimenticabile:

 

"Cosa ho provato io a stare fra Totò, Bartali, Coppi, Ricci, Cottur e Leone al Giro d'Italia? Accidenti... ho provato quello che avrebbe provato qualsiasi ragazzo di ventiquattr'anni... tutto l'entusiasmo e l'ammirazione che sentivo per persone che avevano guadagnato un grosso posto nel cuore della gente. Devo dire che Totò, con la barba in bicicletta, mi faceva molto ridere. Rideva molto anche Bartali. Rideva Coppi, rideva Cottur, rideva Magni, ridevano tutti... durante le riprese, molte volte, lo facevano passare davanti, poi aumentavano appena appena e quando lo avevano raggiunto dicevano 'Totò, l'ho ripresa... l'ho ripresa!'" (Mimmo Franzinelli, "Il Giro d'Italia", 2019).

 

Da parte sua, a fine anni Novanta il leggendario Gino Bartali commemorò quelle giornate con nostalgia e simpatia:

 

"C'ho il nervoso a pensare a Totò. Bastava guardarlo e si rideva subito, non c'era bisogno che facesse niente. Leggeva la sceneggiatura, andava là e faceva quello che voleva. Ed era più bello quello che faceva lui di quello che c'era scritto. Un altro che non leggeva niente era Walter Chiari, lui improvvisava tutto. Il copione c'era ma a loro serviva giusto per imparare la parte a mente e poi dirla in un riassunto. Erano degli artisti, quelli. Io se non dicevo come il copione andavo fuori del seminato." (Alberto Anile, I film di Totò (1946-1967). La maschera tradita, 1998).

 

Il rapporto con il ciclismo e la cultura popolare

 

Il film riflette la passione degli italiani per il ciclismo, che negli anni Quaranta e Cinquanta era uno degli sport più seguiti e amati. La presenza dei grandi campioni dell'epoca, da Coppi a Bartali, conferisce al film un'aura di autenticità e partecipazione collettiva. Le sequenze di gara, pur essendo costruite in modo surreale, restituiscono l'atmosfera delle grandi competizioni, con il pubblico che incita i propri beniamini e la stampa che segue ogni tappa.

 


Totò e Fausto Coppi

Non mancano altri riferimenti alla cultura popolare, a partire dal concorso Miss Italia che apre il film. Proprio quell'anno Totò era stato veramente giurato del concorso, svoltosi a Stresa nella splendida cornice del Lago Maggiore, un paradiso rispetto a tante altre zone d'Italia alle prese con la ricostruzione. Inoltre: noi persone dell'era dei social media "scopriamo" che 80 anni fa gli appassionati di sport si informavano solo con la carta stampata e la radio (la TV sarebbe arrivata in Italia solo nel 1953).

 

Ulteriore elemento caratteristico della cultura popolare è la presenza di personaggi tipici della commedia italiana: il maggiordomo (Luigi Pavese, altro caratterista ricorrente nei film di Totò), l'allenatore, il meccanico un po' imbranato, il diavolo. Questi elementi contribuiscono a creare un universo narrativo ricco e variegato, in cui la comicità si mescola alla satira sociale e alla riflessione sul ruolo dell'individuo nella società.

 

In definitiva non si può che concordare con Mimmo Franzinelli, che ricorda significativamente il giudizio di due critici cinematografici, Tullio Masoni e Paolo Vecchi, secondo cui "c'è molta più Italia dell'immediato dopoguerra in Totò al Giro d'Italia che in dieci film neorealisti".

 

Struttura narrativa e espedienti teatrali

 

La struttura della pellicola è volutamente frammentaria e sperimentale. Mattoli e i suoi sceneggiatori (Metz, Marchesi, Steno) giocano con i piani narrativi, introducendo narratori interni improbabili (in questo caso addirittura Dante, interpretato dall'attore teatrale Carlo Ninchi, e Nerone, il comico d'avanspettacolo Luigi Catoni), flashback, gag surreali, commedia degli equivoci e sequenze oniriche.

 

Si tratta di un'atmosfera che ricorda il teatro di varietà (da cui molti degli attori del film provenivano), con Totò che domina la scena con la sua maschera comica, fatta di smorfie, battute fulminanti e un'inconfondibile gestualità. La narrazione si arricchisce di riferimenti letterari (Dante, che appare alle porte dell'Inferno, e Faust con il suo patto demoniaco per amore) e di citazioni musicali, come la celebre aria "Una voce poco fa" dal Barbiere di Siviglia di Rossini, che Totò finge di intonare insieme agli altri personaggi nella memorabile sequenza corale del finale.

 


Totò e Walter Chiari

Il tema del patto col diavolo, centrale nella trama, viene trattato in modo leggero e ironico, ma nasconde una riflessione più profonda su desiderio e sfida. Il professor Casamandrei, pur di conquistare l'amata, è disposto a perdere l'anima, ma alla fine il destino lo risparmia, grazie all'intervento della madre e alla rottura dell'incantesimo.

 

La sistemazione teatrale dei personaggi, soprattutto nelle scene conclusive, ricorda un "rovescio parodico dell'Ultima Cena", come suggerisce l'analisi critica di Enrico Camporesi. Gli ospiti, invitati a un brindisi a casa Casamandrei, commentano il destino della maglia rosa, in un clima di festa e ironia. Questa scena diventa simbolo della commistione tra realtà e finzione, tra sacro e profano.

 

La colonna sonora, firmata da Nino Rota (non ancora diventato compositore di riferimento di grandi registi), contribuisce a creare un'atmosfera onirica e surreale. La scenografia di Piero Filippone alterna ambientazioni realistiche (le strade del Giro, il concorso Miss Italia, angoli di Milano e Roma) a soluzioni più teatrali e stilizzate.

 

L'interpretazione di Totò: la maschera e il corpo comico

 

Totò, nel ruolo del professor Casamandrei, offre una delle sue performance più memorabili. Il suo corpo comico si contrappone a quello degli atleti veri che appaiono accanto a lui. Un contrasto che si accentua considerando l'altra forte presenza corporea delle bellissime giovani donne che sfilano per Miss Italia. Tra loro spicca Fulvia Franco (che fu veramente una Miss di quel tempo, famosa poi per il matrimonio con il pugile Tiberio Mitri), accanto a Isa Barzizza, stella del teatro d'avanspettacolo e del cinema brillante.

 

La fisicità dell'attore napoletano è particolarmente presente nelle scene in bicicletta. È noto che lui non pedalasse veramente e che nelle scene dinamiche fosse sostituito da una controfigura (Dino Valdi), ma già nella prima lezione di bicicletta vediamo Totò giocare sulla gestualità e la scarsa atleticità del suo corpo per far capire che l'impresa del professor Casamandrei è veramente disperata.

 

Tuttavia, al contrario di tutta la sua filmografia precedente, basata su gestualità mitica e presenza corporea da film muto e teatro d'avanspettacolo, in "Totò al Giro d'Italia" il Principe De Curtis preferisce distinguersi su battute, giochi di parole e dialoghi al limite del surreale.

 


Le battute fulminanti sono diventate celebri tra i fan: dal citato "Con quattro pedalate li ripiglio subito!", al "Dicono che l'appetito viene mangiando… ma l'appetito viene a star digiuni!". O la saggia considerazione: "Per i campioni niente fumo, niente vino e niente donne. Ma allora che vincono a fare?". Memorabile lo scambio con un commissario di Polizia, che accetta tutte le offese alle alte cariche dello Stato, ma non l'"Abbasso la Scafatese!", con cui Casamandrei coglie il punto debole del funzionario.

 

Le recensioni d'epoca: condiscendenza e perplessità

 

Le recensioni dell'epoca non furono particolarmente benevoli. Come sottolinea Enrico Camporesi, "Le recensioni d'epoca si fanno notare per una certa condiscendenza, punteggiata da sbalzi di delusione rispetto al quasi coevo, e più apprezzato, 'Fifa e arena'". La critica sembrava guardare con sufficienza a un film che mescolava generi, attori e sportivi, senza trovare una vera coerenza narrativa.

 

Totò al Giro d´Italia

La presenza di Totò e dei grandi campioni del ciclismo attrasse comunque il pubblico, rendendo la pellicola un successo commerciale. Siamo ancora nell'epoca in cui gli intellettuali snobbavano tutto quello che avesse a che fare con lo sport, sommato all'ostilità nei confronti di Totò.

 

Su "Il Tempo" Gian Luigi Rondi elogiò Mattoli per aver saputo unire il realismo della presenza dei campioni con "l'interpretazione tutta smorfie, attuzzi, lazzi e guizzi dell'irresistibile Totò, in grazia del quale la vicenda, labile e quasi improvvisata, ha acquistato, a volte, un sapore di comicità schietta e festosa". Pur apprezzando più il Totò teatrale, Rondi annota: "Comunque i doveri della cronaca m'impongono di registrare, caloroso ed euforico, il consenso del pubblico".

 

Decisamente meno benevolo il parere del critico de "Il Paese", secondo cui non si dovrebbe parlare di un film, "ma di una colossale farsa fotografata, alla cui base non c'è altro che il cattivo gusto nella sua forma più brutale".

 

Sul democristiano "Popolo" Carlo Trabucco stroncò senza esitazioni il film: "Qui, siamo caduti molto in basso. Mattoli e C. hanno voluto sfruttare Totò, la solita Barzizza, hanno messo dentro anche Miss Italia poi Bartali, Coppi, Bobet, Schotte e ne hanno fatto un intruglio… che Dio ci scampi e liberi".

 

Rivalutazione contemporanea di un piccolo capolavoro comico

 

A partire dalla morte dell'attore napoletano nel 1967, come quasi tutta la sua cinematografia, anche "Totò al Giro d'Italia" è stato riscoperto e rivalutato da critici e studiosi, che ne hanno colto la complessità e la ricchezza di riferimenti culturali. Il film viene oggi visto come un documento prezioso del costume dell'epoca.

 

La critica contemporanea apprezza la capacità di Mattoli e Totò di mescolare comicità popolare e sperimentazione, creando un'opera che anticipa certi espedienti del cinema postmoderno.

 

Totò e Gino Bartali

"Totò al Giro d'Italia" è un film che sfugge alle definizioni semplici. Commistione di generi, sperimentazione narrativa, comicità popolare e riflessione sul desiderio, la pellicola rappresenta un'opera originale nel cinema italiano del dopoguerra. Le recensioni dell'epoca, pur non essendo entusiaste, non hanno impedito al film di diventare un culto tra i fan di Totò e gli appassionati di ciclismo.

 

Si è dovuta attendere la rinascita del cinema di Totò, successiva alla sua scomparsa, perché anche questa pellicola venisse riscoperta e rivalutata come un oggetto unico, capace di raccontare l'Italia di quegli anni attraverso la lente della comicità e dello sport.

 

La maschera di Totò, in questo film, raggiunge una delle sue espressioni più alte, mostrando tutta la potenza di un attore capace di passare dal comico al tragico, dal surreale al quotidiano. Questa capacità di trasformazione è il segreto della maschera del Principe De Curtis, che in "Totò al Giro d'Italia" trova una delle sue prove più autentiche e memorabili.

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