top of page

LA GIOVINEZZA SPORTIVA DI P.P.P.


Che lo sport (i "circenses") sia "oppio del popolo", si sa. Perché ripeterlo se non c´è alternativa?

D´altra parte tale oppio è anche terapeutico. Non credo ci sia psicanalista che lo sconsiglierebbe. Le due ore di tifo (aggressività e fraternità), allo stadio, sono "liberatorie", anche se ripetto a una morale politica, o una politica moralistica, sono qualunquistiche ed evasive.


(Pier Paolo Pasolini intervistato da Claudio Sabatini, su "Guerin Sportivo", 5-11 novembre 1975)


Pasolini a torso nudo dopo partita

Pier Paolo Pasolini, prima di diventare il poeta e regista che tutti conosciamo, fu un ragazzo cresciuto dentro un’Italia in trasformazione, un Paese che scopriva lo sport di massa e lo trasformava in uno spazio di identità collettiva. La sua giovinezza non può essere compresa senza osservare quanto il movimento, il gioco, la fatica fisica abbiano segnato il suo modo di guardare il mondo.


Prima delle parole, c’erano le corse. Prima dei libri, i palloni, le biciclette, la pista di atletica.


Un´infanzia in continuo movimento


Nato nel 1922 a Casarsa, Pasolini trascorse l’infanzia tra campagne friulane, rive di fiume e piccoli centri rurali. È un contesto semplice, fatto di contatto diretto con la terra e il corpo, in cui si cammina, si pedala, si gioca all’aperto. A questo scenario si aggiunge la continua mobilità familiare imposta dal padre Carlo Alberto, ufficiale dell’esercito: trasferimenti frequenti che spezzano amicizie e abitudini, ma non interrompono la crescente attrazione del giovane Pier Paolo per lo sport, che diventa un punto fermo nella sua vita nomade.


Pasolini in maglia del Bologna

La vera svolta arriva con il trasferimento a Bologna. Negli anni Trenta la città emiliana è uno dei centri nevralgici dello sport italiano. Qui domina il Bologna FC, la squadra “che tremare il mondo fa”, capace di vincere scudetti e trofei internazionali. Per Pasolini, ragazzino vivace e curioso, questo è un mondo magnetico: il calcio non è più solo un gioco, ma un rituale cittadino. Si riconosce subito in quei colori rossoblù e diventa un tifoso appassionato.


Ma Pasolini è fatto per il campo, non per la tribuna. Ai Prati di Caprara, la grande distesa dove si giocava tutti i pomeriggi, diventa uno dei ragazzi più veloci in campo, tanto da guadagnarsi il soprannome “Stukas”, come gli aerei da picchiata tedeschi. Non era un fenomeno, ma aveva una caratteristica che lo distingueva: l’intensità assoluta. Correva fino allo sfinimento, viveva ogni azione come fosse decisiva, trasformava il calcio in una forma di espressione.


Per l´Italia in bicicletta


Pasolini e la bicicletta

Accanto al pallone cresce un’altra passione che lo accompagnerà per tutta la vita: la bicicletta. In quegli anni il ciclismo è lo sport più popolare d’Italia. Pasolini lo ama perché è libero, aperto a tutti, senza barriere. Più tardi lo definirà “lo sport più democratico”, perché si svolge sulla strada, davanti a chiunque voglia guardare. Da adolescente non pratica gare ufficiali, ma compie lunghi viaggi con gli amici friulani o bolognesi. Tra le sue imprese più note c’è la lunga pedalata da Bologna a Venezia per la biennale d´Arte, poi verso il Cadore e infine fino a Casarsa: chilometri di salite, discese, paesaggi che scorrono come fotogrammi.


In una lettera ricorderà quell’alba gelida sulle Dolomiti, “le case e i sagrati estranei”, gli uomini dai volti tesi, i paesi incontrati quasi in silenzio. La bicicletta non è solo uno strumento di viaggio: è una palestra emotiva, un modo per conoscere dialetti, paesaggi e persone che entreranno più tardi nel suo universo narrativo.


Poliedricità sportiva di Pasolini


Un altro tassello fondamentale della sua formazione fisica è l’atletica leggera. Tra liceo e università partecipa a gare, soprattutto sui 1500 metri. Non è un atleta tecnicamente raffinato, ma un corridore istintivo, generoso, capace di partire troppo forte e finire esausto — o, talvolta, costretto a fermarsi per problemi fisici improvvisi che diventeranno aneddoti divertenti ricordati da uno dei suoi più cari amici del tempo: Luciano Serra.


Pasolini sul Tevere

Con Serra, futuro storico dell’atletica italiana, Pasolini condivide allenamenti, gare, conversazioni. Serra, triplista metodico e disciplinato, mostra al future regista un lato più tecnico dello sport, mentre Pier Paolo porta nel gruppo passione, spontaneità, energia. L’atletica per lui non è solo sforzo fisico: è un luogo dove osservare i corpi, i gesti, il rapporto tra individuo e limite — temi che torneranno nei suoi film e nei suoi scritti.


Un capitolo meno noto ma significativo è quello della scherma, che Pasolini pratica a Cremona durante uno dei tanti trasferimenti al seguito del padre. Una disciplina raffinata, fatta di equilibrio, attenzione, ritmo. Per un ragazzo impulsivo come lui, la scherma rappresenta un allenamento alla misura e alla precisione. Impara a dosare, a leggere l’avversario, a muoversi in modo controllato: tutte qualità che ritroveremo molto più tardi nelle sue inquadrature cinematografiche, attente al gesto minimo e alla tensione silenziosa.


Calcio, amore mio


Pasolini calciatore

Gli anni universitari bolognesi sono il punto di sintesi. Frequenta la facoltà di Lettere, si immerge nella vita culturale cittadina, ma non abbandona lo sport: anzi, lo integra alla perfezione nella sua routine quotidiana. Gioca nella squadra di calcio di Lettere e nel 1941, da capitano, vince il campionato interfacoltà. Un piccolo trionfo che racconta un lato spesso ignorato della sua personalità: la sua capacità di guidare, di fare squadra, di vivere lo sport come un’esperienza di comunità, non come una vanità personale.


Quando dopo la guerra si trasferirà a Roma, continuerà a giocare nelle borgate, osservando i ragazzi che corrono a piedi nudi su campetti polverosi. Quel mondo, quei volti, quei corpi — così simili ai compagni di gioco della sua adolescenza — diventeranno materia viva per i suoi romanzi e i suoi film. Di questo tratterò nelle prossime puntate.


Insomma, la giovinezza sportiva di Pasolini non è un semplice capitolo biografico: è la radice fisica della sua futura sensibilità artistica. Lo sport gli insegna la resistenza, il ritmo, la disciplina, ma anche la spontaneità, la gioia improvvisa, la verità del corpo. È attraverso queste esperienze che imparerà a guardare l’Italia dal basso, dalle sue periferie, dai suoi ragazzi. Prima della teoria, c’è stata la pratica. Prima dell’analisi, il sudore. Prima dell’autore, il ragazzo che giocava.

Commenti

Valutazione 0 stelle su 5.
Non ci sono ancora valutazioni

Aggiungi una valutazione
bottom of page