UOMINI IN CRISI SUL BORDO DI UNA PISCINA
- maximminelli
- 27 feb
- Tempo di lettura: 7 min

Sport non più di nicchia, ma seguito mediaticamente da un discreto pubblico non solo in tempi di giochi olimpici, il nuoto sincronizzato ha uno stretto legame con il cinema. Infatti, se le origini ufficiali di questa disciplina risalgono al 1907 e alla nuotatrice australiana Annette Kellerman con il suo balletto subacqueo in una vasca di vetro, è stato il cinema hollywoodiano a consacrare davanti a milioni di spettatori la spettacolarità della danza in acqua.
Due film con la diva Esther Williams hanno fatto conoscere la bellezza di quello che poi è diventato proprio il nuoto sincronizzato. Negli anni Quaranta e Cinquanta i suoi film, come “Bellezze al bagno” (1944) e “Million Dollar Mermaid” (1952), portarono sul grande schermo spettacolari numeri acquatici, contribuendo a popolarizzare il nuoto sincronizzato come forma d'arte e intrattenimento. Questi film non solo consolidarono l'immagine glamour dello sport, ma ispirarono generazioni di atlete di questa disciplina, che rappresenta la versione acquatica della ginnastica artistica e di quella ritmica messe insieme.
Negli anni successivi il nuoto sincronizzato si è specializzato sempre di più, entrando finalmente nel programma olimpico ai Giochi di Los Angeles nel 1984, con il solo e il duo. In seguito al duo si è affiancata l'esibizione di squadra, che ha sostituito quella singola. Nel 2015 una prima svolta, quando ai mondiali di Kazan si è svolto anche il concorso del duo misto, cioè l'esibizione di una donna e di un uomo. Per il momento alle Olimpiadi, però, le competizioni sono riservate solo a donne.
Tuttavia, e l'esistenza delle gare di duo misto lo dimostra, è chiaro che ormai il nuoto sincronizzato non sia più un campo esclusivamente femminile. Molti ignorano probabilmente che, infatti, esiste anche un settore maschile: il che può suonare curioso. Pochi collegano le leggiadre esibizioni delle moderne sirene in costume scintillante con quelle di nuotatori, che si farebbe fatica a pensare altrettanto leggiadri. E invece anche gli uomini hanno il loro nuoto sincronizzato.
A questa disciplina, che si può considerare veramente molto di nicchia (mi riferisco al nuoto sincronizzato maschile, naturalmente), nel 2018 è stato dedicato dal regista e attore francese Gilles Lellouche un simpatico e toccante film che, in originale, si intitola "Le Grand Bain", letteralmente "Il grande bagno". La versione italiana, invece, evidenzia forse l'aspetto più comico della pellicola: "Sette uomini a mollo", titolo che strizza l'occhio all'ironia della vicenda.

Una storia di sport e redenzione di uomini qualunque
Pronti a tuffarvi?
Il cinema ha sempre raccontato storie di riscatto, di crescita e di sfide, ma raramente ha esplorato la fragilità maschile con la leggerezza e l'intelligenza di "Le Grand Bain". Il film diretto da Lellouche (da non confondere con il grande regista Claude Lelouche) in Francia ha conquistato il pubblico e la critica con un mix di umorismo e malinconia, raccontando la storia di un gruppo di uomini che trova una nuova ragione di vita attraverso questo sport insolito. A dispetto del titolo scelto dai distributori italiani, infatti, la pellicola è molto più di una gag: è un viaggio tra fragilità maschili, solidarietà e quel pizzico di follia che può salvare una vita.
Il film è corale, ma tutto sommato vi è un vero e proprio personaggio centrale, Bertrand (Mathieu Amalric), un uomo sulla quarantina che lotta contro la depressione e la disoccupazione. Alla deriva nella propria esistenza, la sua vita è un galleggiare senza meta: matrimonio in crisi, figli che lo ignorano, giornate monotone. Poi, per caso, trova un barlume di speranza in un gruppo di uomini che pratica nuoto sincronizzato in una piscina comunale. La strana brigata è composta da Laurent (Guillaume Canet), un manager aggressivo, ma fragile e ansioso; Simon (Jean-Hugues Anglade), un musicista fallito, costretto a guadagnarsi da vivere come inserviente in una mensa; Marcus (Benoît Poelvoorde), un venditore di piscine (ironia della sorte) in grosse difficoltà economiche, e altri uomini con storie di vita segnate da crisi personali e accomunati da un senso di smarrimento. Tra loro da citare è soprattutto Thierry (Philippe Katerine), corpulento e goffo componente dei "magnifici sette" di Lellouche, sempre in grado di strappare molte risate per le sue disavventure in acqua e fuori: Katerine per la sua interpretazione ha ottenuto il Cesar come attore non protagonista.
A guidarli è Delphine (Virginie Efira), un'ex campionessa che, pur attraversando una difficile fase personale e alle prese con l´alcolismo, accetta di allenare la squadra per un motivo che inizialmente sembra più un capriccio che un progetto serio. Al suo fianco come preparatrice atletica Amanda (Leïla Bekhti), impegnata a portare con il pugno di ferro disciplina e rigore nel gruppo. La sua particolarità: si muove su una sedia a rotelle perché paraplegica a causa di un incidente.

Quello che inizia come un passatempo bizzarro si trasforma presto in un percorso di crescita collettivo: l'obiettivo diventa partecipare ai campionati mondiali di nuoto sincronizzato maschile in programma in Norvegia. Con un piccolo trucco il gruppo di aspiranti sirenetti riesce ad iscriversi ufficialmente come rappresentante della Francia. Dopo duri allenamenti, sia in acqua che tra i boschi, preparazione della musica e della coreografia, i nostri eroi si mettono in viaggio verso il loro appuntamento con la gloria. E verso il riscatto. Esistenziale prima ancora che sportivo.
Quando arriva il giorno della gara in Norvegia, la squadra non è perfetta in confronto ai team concorrenti, provenienti da tutto il mondo e formati da atleti dal fisico armonico e perfettamente scolpito. Ma l'impegno e il legame che si è creato tra il gruppo dei protagonisti li rendono vincitori morali, indipendentemente dal risultato.
Non svelo il finale, perché il film merita di essere visto anche con la suspense di non conoscere come si conclude la gara. Il risultato più importante, raggiunto tra momenti esilaranti e situazioni toccanti, il gruppo lo scopre nella forza dell'amicizia e nel valore della solidarietà, nonché nell'affrontare con coraggio insicurezze e paure.
Nuoto sincronizzato maschile: metafora potente e valore sociale
Proprio il nuoto sincronizzato, storicamente considerato uno sport femminile, diventa in questo film una potente metafora della condizione maschile contemporanea. Gli uomini protagonisti di "Sette uomini a mollo" non sono atleti di successo, anzi, non hanno molto di sportivo. Sono individui qualunque alle prese con fallimenti e insicurezze.
La disciplina, basata sulla coordinazione, la fiducia reciproca e il controllo del corpo, rappresenta il percorso che questi uomini intraprendono per ritrovare equilibrio nelle loro vite. Il contrasto tra la loro goffaggine iniziale e la grazia richiesta dallo sport genera situazioni comiche, ma al tempo stesso sottolinea il valore dell'impegno e della resilienza.
Oltre a essere una brillantissiima commedia, "Le Grand Bain" affronta tematiche sociali di grande attualità: la crisi della mascolinità, la difficoltà di esprimere le proprie emozioni e il bisogno di appartenenza sono argomenti trattati con grande delicatezza. Lo sport diventa una forma di terapia e rinascita, persino per chi non ha mai considerato l'attività fisica come un mezzo di crescita personale.
"Il respiro è fondamentale sott'acqua", nota la rivista Sentieri Selvaggi, e qui diventa una metafora esistenziale: imparare a controllarlo significa imparare a vivere. Non si tratta solo di una commedia sullo sport, ma di un inno alla resilienza e alla capacità di reinventarsi, mostrando come il supporto reciproco e la condivisione delle proprie vulnerabilità possano essere strumenti fondamentali per affrontare le difficoltà della vita. La fragilità non è una debolezza, ma un punto di partenza per la crescita personale.
Accoglienza e successo
A prima vista, e non a torto, il film di Lellouche richiama fortemente gli spogliarellisti improvvisati di "The Full Monty" (1996): uno dei temi principali delle due pellicole è simile, quello della redenzione esistenziale e sociale, così come comune è l'uso dei toni agrodolci della commedia.
“Le Grand bain” ha ottenuto un grande successo in Francia, con oltre 4 milioni di spettatori al botteghino, ed è stato accolto positivamente anche in Italia. Le recensioni della critica hanno elogiato la capacità di Lellouche di bilanciare commedia e dramma, senza mai cadere negli stereotipi. Il quotidiano Le Monde ha lodato "la capacità di Lellouche di alternare momenti di profonda emozione con una comicità mai volgare", mentre per Libération il film riesce a "parlare di fragilità maschile con intelligenza e humour". In Italia, il Corriere della Sera ha definito il film "una sorpresa che conquista per la sua autenticità", mentre Repubblica ha apprezzato "l'equilibrio perfetto tra dramma e commedia".

Dietro le quinte: la preparazione degli attori
Per rendere credibili le scene in piscina, il cast ha seguito un allenamento intensivo di due mesi, sotto la guida di veri professionisti del nuoto sincronizzato. Mathieu Amalric ha raccontato in un'intervista: "È stata un'esperienza incredibile, sia a livello fisico che emotivo. Abbiamo davvero formato un gruppo, proprio come i nostri personaggi". Anche Guillaume Canet ha sottolineato come l'affiatamento creatosi tra gli attori abbia contribuito alla naturalezza delle loro interpretazioni.
Il legame nato sul set si vede sullo schermo. Lellouche ha raccontato a Franceinfo: "Lavorare con loro è stato come allenare una squadra vera. C'era sudore, competizione, ma anche tanta complicità". E questa autenticità è uno dei punti di forza del film: non si tratta solo di recitare, ma di vivere davvero quella trasformazione.

La produzione non è stata una passeggiata. Le scene subacquee, curate da Laurent Tangy con tecniche innovative, hanno richiesto pazienza e precisione. La colonna sonora di Jon Brion, con brani classici e pezzi originali, amplifica l'emotività del film. Alcuni nuotatori professionisti hanno fatto da consulenti e comparse, e il cast ha continuato ad allenarsi insieme anche dopo le riprese, creando un'amicizia vera che traspare sullo schermo.
Il regista Gilles Lellouche ha rivelato che l'ispirazione per il film gli è venuta da un documentario svedese sui nuotatori sincronizzati maschi. "Ho visto in quella storia la possibilità di parlare della crisi della mascolinità contemporanea, della depressione, ma attraverso uno sguardo pieno di speranza e umanità", ha spiegato in un'intervista al periodico Les Inrockuptibles.
E il film centra il bersaglio, alternando risate a momenti di commozione profonda.
Un film che fa bene al cuore (e allo spirito)
Lellouche ha messo insieme un cast che comprende alcuni dei migliori attori francesi (e francofoni) delle ultime generazioni. A partire dal trio Amalric-Anglade-Canet (quest'ultimo recentemente passato anche lui alla regia), per proseguire con il belga Poelvoorde, fino alla protagonista femminile Virginie Efira.

Con questo eccezionale cast, una regia attenta e una narrazione coinvolgente, "Sette uomini a mollo" merita di essere visto. È un film che fa bene: diverte, commuove, ispira. È una commedia intelligente che non ha paura di mostrare la vulnerabilità umana. La sua forza sta nell'equilibrio tra ironia e profondità, nella capacità di parlare di temi importanti senza appesantire la narrazione.
Se non lo avete ancora visto, recuperatelo: potrebbe ispirarvi a tuffarvi, metaforicamente o meno, in una nuova sfida personale. Perché, come dimostra il film, non è mai troppo tardi per riuscire a reinventarsi.
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